Nuovi studi dimostrano che con il passare del tempo aumenta la quantità persa del muscolo cardiaco. La campagna ‘Ogni minuto conta’ punta a diffondere più conoscenza su sintomi e trattamenti
Il contributo della scienza cambia il modo di intervenire in caso di infarto. Durante un incontro tenuto a Matera è stata presentata la campagna ‘Ogni minuto conta’, ideata a partire dagli ultimi studi che dimostrano che “non esiste in realtà un tempo soglia che permetta di discriminare tra intervento tempestivo o meno, ma che la prognosi del paziente peggiora in maniera continua all’aumentare del ritardo del trattamento”, come spiegato da Francesco Romeo, presidente di Il Cuore Siamo Noi - Fondazione Italiana Cuore e Circolazione Onlus, che ha promosso l’iniziativa.
Infarto, 120 minuti sono troppi
Gli ultimi lavori scientifici realizzati in ambito renderebbero quindi superata la nozione di ‘Golden Hour’, il lasso di tempo fissato in 120 minuti entro i quali intervenire per salvare la vita di chi è colpito da un infarto. Per Ciro Indolfi, presidente della Società Italiana di Cardiologia (Sic) che patrocina la campagna, “più si indugia, maggiore è la quantità di muscolo cardiaco che viene persa, con importanti conseguenze sulla qualità della vita”. Per questa ragione è cruciale che le persone siano in grado di riconoscere rapidamente i sintomi dell’infarto, che ogni anno in Italia colpisce circa 140.000 individui e si presenta in molti casi con un dolore al petto che si irradia poi al braccio sinistro.
Sintomi dell’infarto
Il tempismo degli interventi è ancor più importante nei casi più gravi di infarto, quelli per cui “per ogni ritardo di 10 minuti si registrano ben tre morti in più su 100 pazienti”, spiega Romeo. La campagna ‘Ogni minuto conta’ sfrutterà i social network per diffondere una maggiore conoscenza del problema ma anche per sollecitare una migliore organizzazione dei soccorsi. Oltre all’intenso dolore al petto dalla durata superiore ai 20 minuti, trasmesso poi a braccio sinistro o mandibola, l’infarto si può presentare secondo Romeo anche “in maniera più subdola, come un dolore addominale o nella parte posteriore del torace”. Per i sanitari, la priorità deve essere quella di fare accedere i pazienti il prima possibile all’angioplastica, necessaria a liberare l’arteria ostruita: è quindi fondamentale trasferire rapidamente le persone colpite da infarto in centri con una emodinamica.