Il risultato si deve a un team di ricercatori del Queensland Institute of Medical Research, che ha identificato 70 nuovi geni correlati alla schizofrenia, al disturbo bipolare, alla depressione, al deficit di attenzione e all’iperattività
La ricerca scientifica ha permesso di compiere un altro passo in avanti nel trattamento dei disturbi mentali.
Un team di ricercatori del Queensland Institute of Medical Research ha identificato 70 nuovi geni associati alla schizofrenia, al disturbo bipolare, alla depressione, al deficit di attenzione e all’iperattività. Gli esperti, inoltre, sono a riusciti a mappare in totale oltre 300 geni associati a malattie mentali, scoprendo nel dettaglio come incidono sullo sviluppo di queste patologie.
I risultati ottenuti saranno preziosi, in futuro, per sviluppare nuovi trattamenti più mirati e personalizzati.
Lo studio nel dettaglio
Per compiere lo studio, pubblicato su Nature Genetics, gli esperti, confrontando le loro analisi con ricerche precedenti, sono riusciti a identificare 70 nuovi geni associati a disturbi mentali e a chiarire come gli altri 261 già noti influiscono nello sviluppo di queste patologie.
Nello specifico, lo studio ha permesso di mappare 275 geni associati a una maggiore possibilità di sviluppare la schizofrenia, 13 correlati a un maggior rischio di soffrire di disturbo bipolare, 31 unità genetiche correlate alla depressione e 12 geni che influiscono sullo sviluppo di deficit di attenzione e iperattività.
"Collegando queste informazioni agli studi già condotti sulle espressioni di geni, potremo ottenere una migliore comprensione di quali specifici geni sono responsabili e come agiscono, se sono attivi in eccesso o non abbastanza”, spiega Eske Derks, a capo del Translational Neurogenomics Group dell’ateneo.
In futuro nuove terapie più mirate
I ricercatori si sono successivamente concentrati sulla loro localizzazione nel corpo umano, riuscendo a dimostrare che solo il 24% dei geni identificati può essere rintracciato nel sangue. Il 41% (137 geni), invece, si trova solamente nel tessuto cerebrale.
"Il prossimo passo sarà formulare farmaci che possano agire su questi geni. L'obiettivo è ottimizzarne l'espressione per migliorare le condizioni dei pazienti”, afferma Eske Derks su Nature Genetics. Gli esperti si augurano, in futuro, di riuscire a quantificare “la presenza nel sangue di questi geni e a comparare la loro attività rispetto alle persone sane”.