Ricercatori italiani scoprono un interruttore per l'artrite reumatoide
Salute e BenessereGli esperti dell'Unità operativa di reumatologia della Fondazione Policlinico Gemelli di Roma hanno isolato una molecola che permetterebbe la risoluzione della patologia. La possibile cura ha già avuto esiti positivi nella sperimentazione animale
Ci sono buone possibilità che l'artrite reumatoide, la malattia infiammatoria cronica che colpisce principalmente le articolazioni, possa essere "spenta". I ricercatori dell'Unità operativa di reumatologia della Fondazione Policlinico Gemelli di Roma (Università Cattolica del Sacro Cuore), infatti, hanno scoperto "un importante interruttore molecolare della patologia" che sarebbe in grado di attivare le cellule dendritiche, ossia le responsabili della risposta autoimmune nella malattia. Lo studio, che è stato condotto in collaborazione con l'università scozzese di Glasgow e pubblicato sulla rivista "Nature Communications", ha permesso di isolare la piccola molecola "miR34a" che, secondo i ricercatori, apre nuove prospettive di cura della patologia.
La malattia
L'artrite reumatoide interessa primariamente le articolazioni e può coinvolgere anche altri organi e apparati come il polmone, le sierose, l'occhio, la cute e i vasi, causando la riduzione dell'aspettativa di vita. Le più colpite dalla patologia sono le donne tra i 40 e i 50 anni con una incidenza tra lo 0.5 e l'1% della popolazione. La base della malattia è una reazione "autoimmunitaria", durante la quale le cellule di difesa (i linfociti T e linfociti B), che normalmente hanno il compito di riconoscere ed eliminare agenti infettivi, cominciano a comportarsi in modo "anarchico" riconoscendo come "nemiche" le molecole dell'organismo stesso. Questo comportamento anomalo genera "un'infiammazione distruttiva" che colpisce le articolazioni e, in alcuni casi, gli organi interni del paziente, producendo anticorpi patologici (i cosiddetti autoanticorpi).
La "risoluzione dell'artrite"
Lo studio condotto da Stefano Alivernini e Barbara Tolusso, coordinati da Gianfranco Ferraccioli e da Elisa Gremese, presso l'Università Cattolica, si è concentrato sulle cellule dendritiche isolate dal sangue. Il motivo di questa particolare attenzione, hanno spiegato in un comunicato i ricercatori, è che queste specifiche cellule sono le responsabili della produzione di molte molecole pro-infiammatorie come TNF, IL-17, IL-23 e IL-1beta. Nello specifico questo malfunzionamento, secondo la ricerca, sarebbe dovuto alla presenza eccessiva della microRNA-34a all'interno delle cellule dendritiche. Inoltre gli esperti hanno scoperto che la molecola in questione è in grado di sopprimere l'"Axl", che è un importante regolatore di queste cellule e "che, guarda caso, è carente nei pazienti". "Pertanto – secondo il professor Ferraccioli – il controllo dell'asse miR-34a/AXL nelle cellule dendritiche dei pazienti, attraverso degli inibitori selettivi (gli antagomiR anti 34 sono già in fase clinica di sperimentazione), rappresenterà una strategia terapeutica in grado di ristabilire l'equilibrio immunologico e promuovere la risoluzione dell'artrite".
Successo negli animali
Un traguardo che, secondo i ricercatori, ha buone possibilità di essere raggiunto, anche grazie all'esito positivo di una sperimentazione sugli animali. Il campione preso in esame, infatti, ha rivelato "la funzione cruciale" del miR-34a che, quando viene eliminato dalle cellule dendritiche, consente la quasi completa resistenza alla malattia da parte degli animali.
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