'Ndrangheta a Roma, misure cautelari. Arrestato sindaco nel Reggino

Lazio
©Ansa

Era formata da una diarchia la 'ndrina "locale" che operava a Roma da alcuni anni dopo avere ottenuto il "via libera" dalla casa madre in Calabria

ascolta articolo

Il sindaco di Cosoleto, Comune del Reggino, Antonino Gioffré, è stato arrestato nell'ambito dell'inchiesta "Propaggine" condotta dalla Direzione investigativa antimafia. Il suo nome compare nell'elenco dei 34 soggetti raggiunti da un'ordinanza di custodia emessa dal gip su richiesta della Dda reggina contro la cosca Alvaro-Penna di Sinopoli. L'indagine è collegata a quella della Dda di Roma. Nel filone calabrese, 29 persone sono finite in carcere e cinque ai domiciliari. Gioffré è accusato di scambio elettorale politico-mafioso. In sostanza avrebbe favorito l'assunzione di un altro soggetto indagato. Intanto, a Roma e provincia, in Lazio, a Reggio Calabria e in Calabria è stata eseguita un'ordinanza cautelare del gip di Roma su richiesta della Dda romana nei confronti di 43 persone. "Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto", questo è quanto affermano in un'intercettazione i soggetti indagati. 

A Roma cosca guidata da due boss

Il gruppo criminale era guidato dai boss Vincenzo Alvaro ("Siamo una carovana per fare la guerra", è quanto afferma in un'intercettazione) e Antonio Carzo. Da quanto si apprende, la 'ndrina "locale" che operava a Roma da alcuni anni dopo avere ottenuto il "via libera" dalla casa madre in Calabria. Le indagini hanno evidenziato come fino al settembre del 2015 non esistesse una "locale" nella Capitale, anche se sul territorio cittadino operavano numerosi soggetti appartenenti a famiglie e dediti ad attività illecite. Nell'estate del 2015 Carzo avrebbe ricevuto, secondo quanto accertato dagli inquirenti, dall'organo collegiale posto al vertice dell'organizzazione unitaria (la Provincia e Crimine) l'autorizzazione per costituire un struttura locale che operava nel cuore di Roma secondo le tradizioni di 'ndrangheta: riti, linguaggi, tipologia di reati tipici della terra d'origine. Il gruppo agiva su tutto il territorio di Roma con una gestione degli investimenti nel settore della ristorazione (locali, bar, ristoranti e supermercati) e nell'attività di riciclaggio di ingenti somme di denaro. Nei confronti degli indagati si contesta, tra gli altri, l'associazione mafiosa, cessione e detenzione di droga, estorsione e fittizia intestazione di beni. Inoltre, l'organizzazione, secondo quanto riferito dagli inquirenti, faceva ricorso a intestazioni fittizie al fine di schermare la reale titolarità delle attività. Inoltre, secondo quanto emerso dalle indagini sviluppate dal Centro operativo Dia di Roma - denominate "Propaggine" - l'organizzazione si proponeva anche il fine di commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita e l'incolumità individuale e in materia di armi, affermando il controllo egemonico delle attività economiche sul territorio, realizzato anche attraverso accordi con organizzazioni criminose omologhe. Gli altri reati contestati dai pm sono l'associazione mafiosa, il favoreggiamento commesso al fine di agevolare l'attività del sodalizio mafioso e la detenzione e vendita di armi comuni da sparo ed armi da guerra aggravate. 

Il filone Reggino

Invece, nel filone Reggino ci sono tutti i presunti esponenti di vertice della cosca Alvaro di Sinopoli. In carcere sono finiti Carmelo Alvaro, detto "Bin Laden", Carmine Alvaro, detto "u cuvertuni", ritenuto il capo locale di Sinopoli, e i capi locale di Cosoleto Francesco Alvaro detto "ciccio testazza", Antonio Alvaro detto "u massaru", Nicola Alvaro detto "u beccausu" e Domenico Carzo detto "scarpacotta". Dalle indagini è emerso che la cosca, oltre a essere operativa nel territorio di Sinopoli, dominava anche il centro urbano di Cosoleto, paese aspromontano, ove insiste un locale di 'ndrangheta autonomo ma funzionalmente dipendente da quello di Sinopoli. L'attività investigativa è stata avviata nel 2016 e ha consentito di appurare come la cosca abbia dato vita, nella Capitale, a un'articolazione (denominata locale di Roma), che rappresenta un "distaccamento" autonomo, del sodalizio radicato in Calabria. 

Il prefetto di Roma: "Grazie a Dia e magistratura"

"Grande apprezzamento per l'imponente operazione di questa mattina che ha consentito di sgominare una locale di 'ndrina operante sul territorio della Capitale. Ringrazio gli uomini della Dia e delle forze dell'ordine e i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Roma che, in coordinamento con i colleghi di Reggio Calabria, hanno segnato oggi un altro importante punto nella lotta alla criminalità organizzata, ribadendo il forte impegno delle Istituzioni nel contrasto alle consorterie malavitose". Lo comunica il Prefetto di Roma, Matteo Piantedosi. 

Gip: “Vittime non denunciavo per paura di ritorsioni”

"L'insieme delle circostanze hanno dato prova del metodo mafioso e della paura di coloro che si sono trovati sulla strada dei capi e degli associati della 'locale'" 'ndrina "che professava la sua aperta vicinanza alla 'ndrangheta ("dietro di me c'è una nave"), impedendo alle vittime così di denunciare alle Forze dell'ordine avendo paura di ritorsioni". Lo scrive il gip di Roma, Gaspare Sturzo, nell'ordinanza con cui ha disposto le misure cautelari. Per il giudice "siamo di fronte ad un complesso di vicende che a partire dal 2015/2016 si sono sviluppate, alcune ancora in corso sino al settembre 2020 e comunque con effetti di permanenza quanto a società ed aziende ad oggi gestite con capitali di illecita provenienza, o oggetto di riciclaggio, mostrando come gli indagati sono stati in grado di impedire - aggiunge il gip - ogni forma di collaborazione con le autorità giudiziarie, sia delle vittime, come di professionisti non collusi con costoro, nonché degli stessi dipendenti delle aziende e società”.

La cosca appaltava ai Fasciani il recupero crediti

La locale che operava a Roma si avvaleva di manodopera del posto per l'attività di riscossione dei crediti e in particolare della famiglia Fasciani. Emerge dall'ordinanza che spiega come il boss Vincenzo Alvaro "mantiene i contatti con personaggi di vertice di altre cosche" tra cui Terenzio Fasciani, "rappresentante dell'omonimo clan - scrive il gip - di cui si serve anche per riscuotere crediti delle attività commerciali fittiziamente intestate o per ottenere vantaggi illeciti nel settore ittico o in quello del ritiro delle pelli e degli oli esausti". Nel provvedimento del giudice si fa anche riferimento a minacce che il gruppo criminale avrebbe rivolto al giornalista Klaus Davi e in particolare all'iniziativa da lui promossa nel 2017 di affiggere nella metropolitana della Capitale una mappa delle stazioni "'Ndrangheta de Roma", con tutti i nomi dei boss tra cui quelli dei due capi della diarchia della Capitale, Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro. Un "elemento di riflessione riguarda le minacce di Carzo contro il giornalista - scrive il gip Sturzo - reo di aver attirato l'attenzione sulla 'ndrangheta a Roma avendo progettato di voler affiggere alle fermate della metropolitana i nomi dei boss calabresi e tra questi proprio Carzo e Alvaro, mettendo in pericolo la loro copertura. In una conversazione intercettata, proprio il boss dice: “Sto sbirro di Klaus Davi voleva mettere i boss della 'ndrangheta a Roma, chi sono...e voleva appiccicarli nelle fermate...della metropolitana...come ha fatto a Milano...e aveva messo me...a Vincenzo...ora ti mostro...".

Roma: I più letti