Papa ai sindaci dell’Anci: “Occorre investire in bellezza, educazione e legalità”

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Così il pontefice nell’udienza nella Sala Clementina: “Saper sognare una città migliore e condividere il sogno con gli altri amministratori del territorio, con gli eletti nel consiglio comunale e con tutti i cittadini di buona volontà, è un indice di cura sociale”

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“A volte ci s'illude che per risolvere i problemi bastino finanziamenti adeguati. Non è vero" ha detto il Papa nell’udienza nella Sala Clementina in Vaticano ai sindaci dell’Anci (Associazione Nazionale Comuni d’Italia). In realtà, ha aggiunto "occorre anche un progetto di convivenza civile e di cittadinanza: occorre investire in bellezza laddove c'è più degrado, in educazione laddove regna il disagio sociale, in luoghi di aggregazione sociale laddove si vedono reazioni violente, in formazione alla legalità laddove domina la corruzione. Saper sognare una città migliore e condividere il sogno con gli altri amministratori del territorio, con gli eletti nel consiglio comunale e con tutti i cittadini di buona volontà, è un indice di cura sociale".

Papa: "Politica sia palestra di dialogo più che di contrattazione"

"La stessa politica di cui siete protagonisti - ha aggiunto - può essere una palestra di dialogo tra culture, prima ancora che contrattazione tra schieramenti diversi. La pace non è assenza di conflitto, ma la capacità di farlo evolvere verso una forma nuova di incontro e di convivenza con l'altro".

“Apprezzamento per ciò che avete fatto in 2 anni di pandemia”

"Attraverso di voi – ha dichiarato il pontefice all’inizio del suo intervento - saluto i sindaci di tutto il territorio nazionale, con grato apprezzamento, in particolare, per ciò che state facendo e che avete fatto in questi due anni di pandemia. La vostra presenza è stata determinante per incoraggiare le persone a continuare a guardare avanti - ha sottolineato Francesco -. Siete stati punto di riferimento nel far rispettare normative a volte gravose, ma necessarie per la salute dei cittadini". "Anzi - ha aggiunto -, la vostra voce ha aiutato anche chi aveva responsabilità legislative a prendere decisioni tempestive per il bene di tutti. Grazie".

“Democrazia non è solo voto, ma partecipazione”

"Immagino che a volte sentiate la solitudine della responsabilità", ha detto ancora papa Francesco. "Spesso - ha osservato - la gente pensa che la democrazia si riduca a delegare col voto, dimenticando il principio della partecipazione, essenziale perché una città possa essere bene amministrata". "Si pretende che i sindaci abbiano la soluzione a tutti i problemi. Ma questi - lo sappiamo - non si risolvono solo ricorrendo alle risorse finanziarie", ha sottolineato il Pontefice. "Quanto è importante poter contare sulla presenza di reti solidali, che mettano a disposizione competenze per affrontarle!", ha aggiunto. Secondo Francesco, "la pandemia ha fatto emergere tante fragilità, ma anche la generosità di volontari, vicini di casa, personale sanitario e amministratori che si sono spesi per alleviare le sofferenze e le solitudini di poveri e anziani". "Questa rete di relazioni solidali è una ricchezza che va custodita e rafforzata".

“Non temete di ‘perdere tempo’ ascoltando i cittadini”

Indicando ai sindaci dell'Anci, come "incoraggiamento", il valore della "paternità", papa Francesco ha poi sottolineato che "il servizio al bene comune è una forma alta di carità, paragonabile a quello dei genitori in una famiglia". "Anche in una città, a situazioni differenti si deve rispondere con attenzioni diversificate - ha osservato -; perciò la paternità, o maternità, si attua anzitutto attraverso l'ascolto. Il sindaco o la sindaca sa ascoltare". "Non temete di 'perdere tempo' ascoltando le persone e i loro problemi - ha esortato il Pontefice -. Un buon ascolto aiuta a fare discernimento, per capire le priorità su cui intervenire". "Non mancano, grazie a Dio, le testimonianze di sindaci che hanno dedicato gran parte del tempo ad ascoltare e raccogliere le preoccupazioni della gente", ha aggiunto. "Cari fratelli e sorelle, vi incoraggio a rimanere vicini alla gente. Perché una tentazione di fronte alle responsabilità è quella di fuggire".

“Per il bene di tutti partire da periferie e poveri”

"Fa pensare il fatto che Gesù sia nato in una stalla a Betlemme e sia morto fuori dalle mura di Gerusalemme sul Calvario", ha detto il Papa, spiegando che questo "ci ricorda la 'centralità' evangelica delle periferie. A me piace ripetere che dalle periferie si vede meglio la totalità, non dal centro, dalle periferie". "Spesso voi avvertite il dramma che si vive in periferie degradate, dove la trascuratezza sociale genera violenza e forme di esclusione", ha osservato il Pontefice. "Partire dalle periferie - ha proseguito - non vuol dire escludere qualcuno, è una scelta di metodo; non una scelta ideologica, ma di partire dai poveri per servire il bene di tutti". "Voi lo sapete molto bene: non c'è città senza poveri - ha sottolineato Francesco -. Aggiungerei che i poveri sono la ricchezza di una città, questo a qualcuno sembrerà cinico, no, non è così; ci ricordano le nostre fragilità e che abbiamo bisogno gli uni degli altri". "Ci chiamano alla solidarietà - ha aggiunto -, che è un valore-cardine della dottrina sociale della Chiesa, particolarmente sviluppato da San Giovanni Paolo II".

Offrire lavoro è unzione di dignità"

"In tempo di pandemia abbiamo scoperto solitudini e conflitti all'interno delle case, il dramma di chi ha dovuto chiudere la propria attività economica, l'isolamento degli anziani, la depressione di adolescenti e giovani, pensate al numero dei suicidi dei giovani, le disuguaglianze sociali che hanno favorito chi godeva già di condizioni economiche agiate, le fatiche di famiglie che non arrivano a fine mese. E anche, mi permetto di menzionarli, gli usurai che bussano alle porte, e questo succede nelle città, qui a Roma almeno", ha detto ancora il Papa. "Quante sofferenze avete incontrato!", ha esclamato. "Ma le periferie - ha avvertito il Pontefice - non vanno solo aiutate, devono trasformarsi in laboratori di un'economia e di una società diverse". Infatti, ha spiegato, "quando abbiamo a che fare con i volti delle persone, non basta dare un pacco alimentare". "La loro dignità chiede un lavoro - ha aggiunto Francesco -, e quindi un progetto in cui ciascuno sia valorizzato per quello che può offrire agli altri. Il lavoro è davvero unzione di dignità!". "Il modo più sicuro per togliere la dignità a una persona o a un popolo è togliere il lavoro - ha concluso -. Non si tratta solo di portare il pane a casa. Si tratta di 'guadagnare' il pane che tu porti a casa, e quello sì, ti unge di dignità".

"Favorire pace sociale con tessuto comune valori"

"Tra le mura domestiche si vivono tanti conflitti, c'è bisogno di serenità e di pace", ha proseguito il pontefice. "E siamo certi - ha proseguito - che la buona qualità delle relazioni è la vera sicurezza sociale in una città". Per questo, ha osservato, "c'è un compito storico che coinvolge tutti: creare un tessuto comune di valori che porti a disarmare le tensioni tra le differenze culturali e sociali". "La pace sociale - ha spiegato il Pontefice - è frutto della capacità di mettere in comune vocazioni, competenze, risorse. È fondamentale favorire l'intraprendenza e la creatività delle persone, in modo che possano tessere relazioni significative all'interno dei quartieri". "Tante piccole responsabilità - ha aggiunto - sono la premessa di una pacificazione concreta e che si costruisce quotidianamente. È bene ricordare qui il principio di sussidiarietà, che dà valore agli enti intermedi e non mortifica la libera iniziativa personale". Il Papa 'a braccio' ha spiegato anche la differenza tra la "crisi" e il "conflitto": "La pandemia ci ha messo in crisi, questo è buono, la crisi è buona. La cosa cattiva è quando la crisi si trasforma in conflitto: il conflitto è chiuso, il conflitto è guerra, il conflitto è difficile che trovi una soluzione che guarda più avanti".

"Pregate per me, anche io sono sindaco"

"Vi accompagno con la mia preghiera e la mia benedizione", ha concluso papa Francesco. "E vi chiedo per favore di pregare per me. Perché anche io sono 'sindaco' di qualcosa".

Presidente Anci: "In pandemia anche i sindaci hanno avuto paura"

"I due anni che abbiamo alle spalle sono stati anni di lutti e di dolore non solo per l'Italia ma per tutto il mondo. Di questa ferita, il rischio più profondo è la perdita del senso di comunità, di vicinanza e di condivisione". Lo ha detto il sindaco di Bari Antonio Decaro, presidente dell'Anci. "Quanto disagio personale, sociale e psicologico hanno recato i pur necessari comportamenti imposti ai cittadini ed in particolare a quelli più fragili che già prima della pandemia e, a prescindere da essa, vivevano ai margini delle nostre comunità?", ha ricordato. "Ecco, Santità, in questi lunghi mesi i Sindaci hanno dovuto e voluto affrontare anche questo tipo di emergenza - ha sottolineato -. Mentre ci prodigavamo per fare quanto ci era richiesto dalle esigenze sanitarie: convincere i cittadini a rispettare le regole, riorganizzare gli uffici pubblici, contribuire ad allestire i centri di soccorso e quelli per la campagna vaccinale, coordinare i volontari e fra essi i tanti delle associazioni cattoliche, ci siamo però soprattutto occupati di tenere insieme le nostre comunità e i nostri concittadini". "Per far questo - ha continuato Decaro - abbiamo guardato negli occhi la paura, abbiamo affrontato la morte di chi ci stava intorno, abbiamo aiutato chi restava solo in casa e facendogli avere un sacchetto di spesa o anche solo chiamandolo al telefono per una breve chiacchierata. Anche noi abbiamo avuto paura, Santità. Non ci vergogniamo a dirlo". "Ci siamo trovati, come tutti - ha spiegato il presidente dell'Anci -, a dover affrontare una minaccia sconosciuta e invisibile". "Come tutti - ha aggiunto -, non avevamo nei primi tempi gli strumenti e le conoscenze per affrontarla e temevamo che questa bufera avrebbe spazzato via tanti anni di lavoro e di sacrificio, dei nostri concittadini e di noi amministratori. Eppure noi, anche per la responsabilità che abbiamo, questa paura sapevamo di doverla vincere e l'abbiamo vinta". Decaro ha quindi rievocato che "più volte la pandemia è stata paragonata a una guerra mondiale. Questo paragone, secondo me appropriato, mi ha fatto pensare che allora anche noi Sindaci abbiamo dei riferimenti storici ai quali ispirarci, per ciò che dobbiamo fare e per ciò che ci attende". "II primo nome che mi viene in mente a questo proposito - ha affermato - è quello di Giorgio La Pira, che fu Sindaco di Firenze, figura che so a Lei molto cara e che compare sempre, giustamente, nel novero dei grandi Sindaci che sono stati protagonisti della rinascita delle rispettive città dopo la catastrofe del conflitto mondiale". "Credo che l'esperienza di La Pira come sindaco, simboleggi alla perfezione - sia pure a un livello che nessuno di noi può aspirare a raggiungere - quell'insieme di concretezza", ha concluso.

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