Spacciavano droga dello stupro nella “Roma bene”: a processo 5 pusher

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La procura cittadina ha chiesto e ottenuto il giudizio immediato nei confronti dei pusher arrestati nel settembre scorso. Il processo inizierà il prossimo 18 gennaio

La procura di Roma ha chiesto ed ottenuto il giudizio immediato nei confronti di cinque pusher della cosiddetta "droga dello stupro" arrestati nel settembre scorso. Il processo inizierà il prossimo 18 gennaio. Tra le persone finite a giudizio anche il presunto capo del gruppo, D.B., 32 anni. Tra i loro clienti c'erano anche personaggi della "Roma bene". In base a quanto ricostruito dai pm, la droga veniva consegnata dopo ordinazioni giunte su WhatsApp. La sostanza veniva recapitata a casa, anche presso palazzi del centro storico della Capitale, con corrieri travestiti da rider anche durante il lockdown.

Le indagini e gli arresti

Per il gruppo di spacciatori il 21 settembre scorso erano scattati gli arresti nell'ambito di un procedimento coordinato dall'aggiunto Giovanni Conzo. Sei le misure cautelari emesse: tre in carcere, due ai domiciliari e un obbligo di firma. In base a quanto ricostruito dagli inquirenti, l'organizzazione era divisa in due gruppi: uno si occupava di rifornire le comunità etniche fra viale Marconi e Monteverde Nuovo, spacciando principalmente shaboo, mentre l'altro gruppo, con a capo D.B., gestiva lo spaccio della Ghb, la "droga dello stupro" per i clienti italiani. Per 100 ml di sostanza stupefacente i clienti, tra cui anche un medico e un professore universitario, erano disposti a spendere fino ad 800 euro. Per le ordinazioni venivano utilizzati dei termini in codice: "acqua" era il nome con cui veniva chiamata la Ghb, ma spesso venivano usati termini come "Gilda" e "Mafalda". L'indagine era partita dopo l'arresto di una donna di nazionalità cinese nell'ottobre del 2020. Venne fermata alla stazione Termini con shaboo per un valore di circa 20 mila euro. Le droghe sintetiche venivano fornite da una "grossista" cinese, con base in Toscana, che organizzava il trasporto e la consegna fino a Roma dello stupefacente. In particolare, la sostanza arrivava nella Capitale, tramite corrieri cinesi, che utilizzavano alternativamente mezzi ferroviari o autovetture a noleggio, vestiti con abiti firmati per non destare sospetti.

 

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