Deceduto in una clinica di Nettuno l'uomo che si calò nel pozzo di Vermicino per tentare di salvare Alfredino Rampi
È morto Angelo Licheri, l'uomo che si calò nel pozzo di Vermicino per tentare di salvare Alfredino Rampi. Licheri, 77 anni e nato a Gavoi, era ricoverato in una clinica a Nettuno, vicino a Roma.
La vicenda
Licheri era un volontario e si recò a Vermicino dopo avere appreso della tragedia. Si fece calare a testa in giù la notte tra venerdì 12 e sabato 13 giugno 1981: Alfredino era precipitato la sera del 10 giugno. Licheri parlò anche col bambino e restò nel pozzo 45 minuti. Licheri andò sul posto proprio guardando la tv: decise che non poteva continuare la sua vita di marito e padre e di autista per una tipografia senza tentare di salvare un bambino di sei anni.
La discesa nel pozzo di Licheri
"Cercavano uno piccolo, e allora sono andato", raccontò poi, quando la morte di Alfredino lo stava già accompagnando nella vita. Licheri sapeva che cercavano volontari, esili e coraggiosi, per i soccorsi: per non far preoccupare la moglie, disse di andare a comprare le sigarette. Ma andò a Vermicino perchè voleva salvare Alfredino. "Arrivato chiesi di Elveno (Pastorelli, il prefetto che coordinò le operazioni di salvataggio, ndr) e della madre di Alfredino", raccontò. Il pozzo era largo 28 centimetri, Angelo non era uno speleologo ma era minuto a sufficienza. E soprattutto era determinato. "Può stare non più di venti minuti", dissero gli esperti. E fu calato a testa in giù la notte tra il 12 e il 13 giugno, 54 ore dopo che il bimbo era precipitato. Di minuti, tra il fango, il dolore, il buio e le speranze spezzate, Licheri ne rimase 45: tentò per sette volte di salvare Alfredino, tutte e sette le volte non riuscì. Scese per 60 metri, nessuno riuscì ad arrivare così profondamente, addirittura, per andare più giù usò il suo corpo gracile come un'ariete ("tiratemi per qualche metro su e poi fatemi scendere") e si scorticò le anche. Riusciì, unico, a toccare il volto del bimbo pulendolo dal fango, cercò più volte di assicurarlo alle corde, imbracarlo ma "c'era il fango e scivolava". "È vivo ma rantola", disse come ricorda nel suo libro Massimo Gamba "Alfredino l'Italia nel pozzo". "Sentivo che respirava, gli ho detto che se riuscivo a tirarlo fuori lo portavo con me in Sardegna", raccontò poi Licheri. In uno dei salvataggi addirittura, lottando contro la fatica, prese il bambino per un braccio e si rese conto che al bimbo si era spezzato il polso. Nell'ultimo tentativo prese Alfredino per la canottiera ma questa si stracciò assieme a tutta la volontà di Angelo. "Con le dita gli ho mandato un bacio, poi ho chiesto di essere tirato su velocemente", ricordò ancora. E nella foto che lo ritrae fuori dal pozzo, l'incubo di ogni favola cattiva, con la canottiera lercia e gli occhi esausti c'era già tutta la tragedia di Vermicino. E si cominciò a capire che era finita. Il bimbo morì infatti il 13 giugno. Angelo si porterà sempre quel pozzo dentro.
La sua vita dopo Alfredino
Ai funerali di Alfredino, in prima fila, porta la bara, ebbe un mancamento ma si scusò "per il disturbo". Poi ritornò alla sua vita ma non fu più come prima, "avevo perso ogni vivacità" dice in un'intervista. Restò legato ai genitori del bimbo e partecipò ad ogni iniziativa per ricordarlo, come la raccolta fondi per dedicare un murales alla tragedia che non solo rese la televisione, nella sua crudezza, più umana ma evidenziò la necessità di una professionalità nei soccorsi gettando le basi per la protezione civile. Ad ogni intervista, tante in questo triste quarantennale, piangeva. "Ho rifiutato 27 medaglie d'oro e tanti premi, ho fallito: come potevo accettare?", disse severissimo con se' stesso ma clemente con la sua grande generosità.
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Il cordoglio di Gavoi
A Gavoi, suo paese natale, Angelo Licheri era amatissimo e la notizia della sua morte provoca grande tristezza nei suoi compaesani. Era nato qui nei primi anni '40 in una poverissima abitazione del quartiere di Su Caramu, l'eroe che per salvare Alfredino Rampi sacrificò la sua stessa salute: il salvataggio purtroppo non riuscì e Angelo, dopo quell'impresa nel pozzo viscido e strettissimo, subì l'amputazione di una gamba. La sua vita è stata caratterizzata da lunghe sofferenze sin dalla nascita: figlio di una famiglia ridotta in miseria dopo che il padre abbandonò la madre con quattro figli da crescere, Licheri se ne va dalla Sardegna nei primi anno '60 appena 17enne, quando si aggrega al circo Orfei per lavorare come garzone e da allora nell'Isola non è più tornato.
Il ricordo del sindaco
A ricordarlo è il sindaco Salvatore Lai, compagno di giochi di Angelo. "Gavoi oggi ha perso uno dei suoi figli migliori, ci stringiamo attorno alla famiglia a cui mandiamo il nostro più caloroso abbraccio - dichiara all'Ansa il primo cittadino - Il suo gesto di generosità nei confronti di Alfredino ha rasentato l'eroismo connaturato nella sua indole. Angelo è un figlio della mia generazione, giocavamo insieme: eravamo tutti poveri ma la sua famiglia lo era particolarmente. È partito col circo ed è poi iniziato il suo tentativo di emancipazione nel Continente che a tratti è anche riuscita, purtroppo però la vita non gli ha risparmiato altre sofferenze. Resterà sempre nella memoria collettiva di questa comunità e il suo esempio non morirà mai". Dopo l'impresa di Vermicino, nei primi anni '80 in paese organizzarono una festa per lui. "Quella volta mio padre era in prima linea insieme all'amministrazione comunale per fare onore al suo ex dipendente - ricorda Antonio Lai, la cui famiglia aveva una rivendita di bombole per la quale sia Angelo che il fratello Giovannico hanno lavorato - Angelo era una ragazzo vivace difficile da contenere, quando è venuto il circo Orfei si è fatto incantare da quella vita vagabonda. Suo fratello non la prese bene e tra loro il rapporto in quegli anni si ruppe. Angelo ha altre due sorelle di cui una suora, ma a Gavoi dopo la morte di Giovannico non è rimasto più nessuno". L'ultima vacanza nella sua terra i suoi compaesani gliela regalarono nel 2011.
Associazione Enrico Berlinguer: "Per lui raccolta cifra che gli permise di andare avanti qualche anno"
"C'era arrivata notizia che Angelo versava in condizione economiche e di salute disastrose - racconta Antonio Costeri dell'associazione Enrico Berlinguer - Avevamo organizzato un comitato e abbiamo raccolto una cifra che gli ha permesso di andare avanti qualche anno. Lo abbiamo ospitato in un hotel del paese insieme alla sua fidanzata, una ragazza africana, e ricordo che voleva acquistare degli animali da regalare al suocero per poter chiedere in moglie la figlia. La cosa che mi ha colpito di più, però, è stata la sua felicità quando lo abbiamo portato a una tosatura dove ci hanno organizzato il pranzo: gli brillavano gli occhi per quel ritorno alle origini".
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