Giulio Regeni, pm: "Seviziato per giorni con lame e bastoni". Quattro 007 verso processo

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Le accuse, a seconda delle posizioni, sono di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate. L'avvocato della famiglia, Alessandra Ballerini: "I diritti umani non sono negoziabili con petrolio, armi e soldi, ce lo dimostra la famiglia Regeni. Vorremo la stessa fermezza e abnegazione da parte di chi ci governa". Di Maio: "Fatto passo avanti, ma non basta"

La Procura di Roma ha chiuso l'inchiesta relativa alla vicenda di Giulio Regeni, lo studente friulano rapito al Cairo nel 2016, torturato e ucciso. I pm hanno emesso quattro avvisi di chiusura delle indagini, che precede la richiesta di rinvio a giudizio, per altrettanti appartenenti alla National security, i servizi segreti egiziani. L'avviso è stato notificato col "rito degli irreperibili", vista la totale mancanza di risposta da parte dell'Egitto sull'elezione di domicilio. Le accuse, a seconda delle posizioni, sono di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate. Chiesta l'archiviazione per una quinta persona, sempre 007 del Cairo, "per il quale - spiega una nota della Procura di Roma - non sono stati raccolti elementi sufficienti, allo stato, a sostenere l'accusa in giudizio". Altre 13 persone, ha specificato il pm di Roma Sergio Colaiocco,  "sono nel circuito degli indagati ma la mancata risposta ai nostri quesiti da parte delle autorità egiziane ci ha impedito di proseguire negli accertamenti" (CHIUSURA INDAGINE - IL CASO).

Di Maio: "Fatto passo avanti, ma non basta"

"Il dialogo tra la procura di Roma e quella egiziana è stato un passo avanti, ma evidentemente non basta. Quanto descritto dalla magistratura italiana su Giulio è

inquietante. Chiediamo al Cairo un chiaro cambio di passo. Basta tentennamenti. Basta attese". Così il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in una nota. "La mia più profonda vicinanza alla famiglia Regeni - prosegue - e a chi si batte per restituire

verità e giustizia ai genitori di Giulio".

Il processo

"Per l'omicidio di Giulio Regeni si svolgerà un solo processo e si svolgerà in Italia con le garanzie procedurali dei nostri codici", ha dichiarato il procuratore di Roma, Michele Prestipino, sentito dalla commissione parlamentare. "Questo processo avrà al proprio centro la valutazione dell'impianto probatorio che la Procura di Roma ha in questi anni raccolto e messo in piedi", ha aggiunto Prestipino. 

Le accuse

A quanto emerge dall'atto di conclusione delle indagini, fu il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif a torturare e uccidere il dottorando dell'Università di Cambridge. La morte di Giulio è stato "atto volontario e autonomo" commesso dall'indagato, l'unico ad essere accusato di lesioni personali aggravate. Se la vicenda avesse avuto luogo dopo l'introduzione del reato nell'ordinamento italiano, nel luglio 2017, sarebbe stato accusato anche di tortura. "Al fine di occultare la commissione dei delitti suindicati - scrivono i magistrati -, abusando dei suoi poteri di pubblico ufficiale egiziano" Sharif "con sevizie e crudeltà, mediante una violenta azione contusiva, esercitata sui vari distretti corporei cranico-cervico-dorsali, cagionava imponenti lesioni di natura traumatica a Regeni da cui conseguiva una insufficienza respiratoria acuta di tipo centrale che lo portava a morte".

Le sevizie

Si parla anche di sevizie durate giorni che causarono a Giulio Regeni "acute sofferenze fisiche" messe in atto anche attraverso oggetti roventi, calci, pugni, lame e bastoni. I magistrati scrivono che nei confronti di Regeni per "motivi abietti e futili e con crudeltà" sono state "cagionate lesioni" e "la perdita permanente di più organi". Giulio è stato seviziato "con acute sofferenze fisiche, in più occasioni e a distanza di più giorni attraverso strumenti dotati di margine affilato e tagliente ed azioni con meccanismo urente". Violenze che hanno causato "numerose lesioni traumatiche a livello della testa, del volto, del tratto cervico dorsale e degli arti inferiori". 

Il rapimento

Nel provvedimento viene ricostruita la vicenda del ricercatore italiano. Tutto parte "dalla denuncia presentata, negli uffici della National security, da Said Mohamed Abdallah, un rappresentante del sindacato indipendente dei venditori ambulanti del Cairo Ovest" con cui lo studente, che stava facendo ricerche per l'università britannica sui sindacati dei venditori ambulanti, era venuto in contatto. Said aveva indicato Regeni come spia. I quattro indagati, scrivono i pm, "dopo aver osservato e controllato direttamente ed indirettamente, dall'autunno 2015 alla sera del 25 gennaio 2016, Giulio Regeni, abusando delle loro qualità di pubblici ufficiali egiziani, lo bloccavano all'interno della metropolitana del Cairo". In base all'atto di conclusione delle indagini, Regeni venne condotto "contro la sua volontà e al di fuori di ogni attività istituzionale, prima presso il commissariato di Dokki e successivamente presso un edificio a Lazougly" dove venne "privato della libertà personale per nove giorni". Il corpo venne ritrovato il 3 febbraio lungo la superstrada che collega il Cairo con Giza. Presentava tali segni di tortura che la madre disse di averlo riconosciuto solo dalla punta del naso. In seguito la Procura di Roma e del Cairo avviarono due inchieste parallele, con diversi depistaggi (VIDEO) messi in atto dalla parte egiziana: all'origine del decesso del 28enne vi sarebbero stati un incidente d'auto, un movente passionale, fino allo spaccio di droga. 

La testimonianza: "Vidi Giulio ammanettato e con segni di tortura"

Ascoltato assieme al pm Prestipino, davanti alla commissione parlamentare di inchiesta sulla vicenda il sostituto Sergio Colaiocco ha citato il racconto reso da uno dei cinque testimoni sentiti dai magistrati di Roma. "Ho visto Giulio ammanettato a terra con segni di tortura sul torace", racconta il teste. "Ho lavorato per 15 anni nella sede della National Security dove Giulio è stato ucciso. E' una villa che risale ai tempi di Nasser, poi sfruttata dagli organi investigativi. Al primo piano della struttura c'è la stanza 13 dove vengono portati gli stranieri sospettati di avere tramato contro la sicurezza nazionale - ha riferito il testimone -. Il 28 o 29 gennaio ho visto Regeni in quella stanza con ufficiali e agenti. C'erano catene di ferro con cui legavano le persone, lui era mezzo nudo e aveva sul torace segni di tortura e parlava in italiano. Delirava, era molto magro. Era sdraiato a terra con il viso riverso, ammanettato. Dietro la schiena aveva dei segni, anche se sono passati anni ricordo quella scena. L'ho riconosciuto alcuni giorni dopo da foto sui giornali e ho capito che era lui". 

Un altro testimone citato dai pm ha riferito di aver visto Regeni il 25 gennaio nella stazione di polizia di Dokki. "Mentre ero alla stazionedi Dokki - ha raccontato il teste - ho visto arrivare il ragazzo, che solo successivamente ho riconosciuto come Giulio Regeni. Mentre percorreva il corridoio, chiedeva di poter parlare con un avvocato o con il Consolato. In quel frangente ho visto bene il ragazzo italiano, che arrivava con quattro persone in abiti civili. Contestualmente ho visto uno di questi quattro soggetti con un telefono in mano. Poi è stato fatto salire su un'auto, è stato bendato e condotto in un posto che si chiama Lazougly".

Il pm di Roma: "Raccolti elementi univoci e significativi"

"Abbiamo acquisito elementi di prova univoci e significativi. Questo è un risultato estremamente importante e non scontato". Lo ha detto il procuratore di Roma, Michele Prestipino, . "Abbiamo fatto di tutto per accertare ogni responsabilità: lo dovevamo a Giulio e all'essere magistrati di questa Repubblica", ha aggiunto Prestipino. "Ringrazio la famiglia che ha perseguito con tenacia le proprie ragioni", ha concluso. Per Colaiocco è stata "decisiva l'attività di indagine difensiva messa in atto dalla legale della famiglia, Alessandra Ballerini". 

La legale della famiglia: "Governo dimostri che giustizia non si baratta"

Da parte sua l'avvocato Ballerini ha sottolineato in conferenza stampa alla Camera: "I diritti umani non sono negoziabili con petrolio, armi e soldi. E questo ce lo dimostra la famiglia Regeni. Vorremo la stessa fermezza e abnegazione da parte di chi ci governa, affinché dimostrino che la giustizia non è barattabile. Questo è un punto di partenza, ci sono voluti cinque anni". "Sono passati due anni - ha aggiunto Ballerini - dalle dichiarazioni del governo, in cui si chiedevano impegni, conseguenze e responsabilità, e non abbiamo capito ancora a quali il governo si riferisse. Chiediamo di richiamare immediatamente l'ambasciatore per consultazioni in Italia. Da quando è stato reiniviato l'ambasciatore non sono stati fatti passi in avanti, anzi c'è stata recrudescenza. Bisogna dichiarare l'Egitto 'Paese non sicuro' e bloccare la vendita di armi". Recentemente i genitori di Regeni hanno criticato il governo per la vendita di due fregate all'Egitto, un'operazione che secondo il ministro degli Esteri Di Maio non ha "inficiato la ricerca della verità".

La madre di Gulio: "La nostra lotta è diventata di civiltà"

"Nessuno avrebbe pensato di arrivare dove siamo oggi. Oggi è una tappa importante per la democrazia italiana e per l'Egitto. Niente ci ferma. La nostra lotta di famiglia è diventata una lotta di civilità per i diritti umani, che è come se agisse Giulio. Giulio è diventato uno specchio che riverbera in tutto il mondo come vengono violati i diritti umnani in Egitto ogni giorno". Lo ha detto in conferenza stampa alla Camera Paola Regeni, madre di Giulio. "Chiediamo alla Commissione di inchiesta - ha aggiunto la donna - di fare chiarezza sulle responsabilità italiane, ci riferiamo a tutte quelle zone grigie: cosa è successo nei Palazzi italiani da quel 25 gennaio al 3 febbraio? Come mai Giulio, un cittadino italiano, non è stato salvato in un Paese che era amico e che continua ad essere amico?". "Altrimenti - ha aggiunto - tutti gli italiani che vanno all'estero possono ben dire di non sentirsi sicuri". "La stampa 'buona' lavori sull'Egitto, racconti l'Egitto, così aiutiamo anche il popolo egiziano. Fate giornalismo investigativo, chiedete ai politici 'cosa state facendo?'. Presidente Conte che sta facendo per la verità su Giulio? E il ministro degli Esteri Di Maio? I rapporti bilaterali con l'Egitto sono divenuti sempre più un'amicizia". 

Da quando nel 2017 è stato rinviato l'ambasciatore italiano durante il governo Gentiloni "uno degli scopi era la ricerca di verità e giustizia per nostro figlio Giulio. Purtroppo questo punto è stato messo in secondo piano dando priorità alla normalizzazione dei rapporti tra Italia ed Egitto e a sviluppare i reciproci interessi in campo economico, finanziario e militare, vedi la recente vendita delle fregate, e nel turismo, evitando di affrontare qualsiasi scontro. L'atteggiamento dell'ambasciatore Cantini è una chiara dimostrazione di tutto ciò", ha detto il padre del 28enne, Claudio Regeni, chiedendo di "richiamare in Italia l'ambasciatore". A chi gli ha chiesto se in famiglia si sentissero ancora traditi dallo Stato, come affermato di recente, Claudio Regeni ha risposto: "Non abbiamo nessun elemento per aver cambiato idea. Auspichiamo un cambio di rotta che però non si intravede all'orizzone, pur con le parole di cicostanza, vicinanza e solidarietà. Chiediamo che questo si possa vedere nei fatti oltre che nelle parole". 

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