Covid Roma, nipote asintomatico si fa ricoverare con lo zio affetto da sindrome di Down

Lazio

Il giovane, positivo senza sintomi, ha raccontato la sua storia all’agenzia Dire: si è fatto ricoverare al Policlinico Militare Celio insieme al parente, affetto da sindrome di Down e arrivato in condizioni molto serie nella struttura sanitaria a causa del coronavirus

Matteo Merolla, agente immobiliare di 29 anni nato e cresciuto nel quartiere romano di Montescaro, positivo ma asintomatico, ha scelto di farsi ricoverare al Policlinico Militare Celio di Roma insieme allo zio 50enne, affetto da sindrome di Down e arrivato nella struttura sanitaria condizioni molto serie a causa di un’infezione da Covid-19, per non lasciarlo da solo (TUTTI GLI AGGIORNAMENTI - GRAFICI E MAPPE - LA SITUAZIONE NEL LAZIO E A ROMA). A riportare la notizia è l’agenzia Dire.

Foto tratta dal profilo Facebook della sorella dell'uomo affetto dalla sindrome di Down
Foto tratta dal profilo Facebook della sorella dell'uomo affetto dalla sindrome di Down

La storia

A raccontare la vicenda è lo stesso Matteo all’agenzia Dire: “Mio zio, Paolo, è stato ricoverato d’urgenza al Celio ed è stato subito sottoposto a due Tac. Gli è stata riscontrata una grave polmonite, aveva febbre, tosse forte, giramenti di testa costanti, debolezza e malessere generale. La prima notte è stato molto male, continuava a svenire e ad addormentarsi, non gli arrivava abbastanza ossigeno e lui ha pianto tutto il tempo perché non capiva quello che gli stava succedendo. Era molto spaventato. Quando era molto piccolo gli è stata asportata una grossa porzione di un polmone, per cui è stato ‘aggredito’ dal Covid in maniera seria. È affetto da sindrome di Down e non è autosufficiente, c’era bisogno che qualcuno si prendesse cura di lui. Ho pensato subito che farmi ricoverare con lui fosse un dovere”.

Il ricovero

La direzione del Celio ha permesso “in via eccezionale” il ricovero di zio e nipote dal 3 al 18 novembre: “Avevo sintomi blandi, prima di entrare in ospedale mi hanno fatto il tampone ed ero positivo così ci hanno ricoverato insieme e abbiamo avuto anche la possibilità di avere una stanza in comune. Mio zio ha avuto bisogno di una maschera per l’ossigeno 24 ore su 24, giorno e notte, e i medici hanno fatto davvero tutto il possibile per non intubarlo vista la sua condizione. Ho provato in qualche modo a spiegare a mio zio che adesso c’è questo virus e che lui si trovava in ospedale perché aveva bisogno di cure, ma lui spesso ripeteva, piangendo, che voleva tornare a casa. Quando i medici e gli infermieri entravano in stanza per fargli un prelievo, per dargli una medicina o anche semplicemente per aggiornarmi sulle sue condizioni, lui costantemente mi diceva: ‘Non ho capito niente’. È come essere ricoverati in ospedale in un Paese straniero, dove conosci a stento la lingua”.

Il rientro a casa

Zio e nipote sono risultati entrambi negativi al Covid-19 il 20 novembre e hanno fatto rientro a casa: “Mio zio è stato molto felice di ritornare a casa, è uscito dall’ospedale esclamando, come se fosse un grido di vittoria: ‘E bye!’. Ma soprattutto con la richiesta molto netta di avere dei supplì per cena, così mia madre ed io siamo andati subito a comprarli perché ogni promessa è un debito”.

I ringraziamenti al personale medico

Matteo ha inoltre ringraziato il personale medico del Policlinico Militare Celio: “Sono stati tutti molto carini, hanno portato mio zio ‘in palmo di mano’ e per questo li ringraziamo. Era diventato la mascotte dell’ospedale. Medici, infermieri e persino il personale addetto alle pulizie gli portavano cioccolata e caramelle. Quando finalmente è uscito dall’ospedale sono venuti a salutarlo e gli hanno detto, ovviamente in maniera affettuosa: ‘A Paolé, non tornare più qui, eh, mi raccomando'”.

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