Feti sepolti a Roma, emergono altri casi. Garante della Privacy apre istruttoria

Lazio

Sull'episodio è stata anche avviata una interrogazione parlamentare e un'altra, parallela, al presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti da un nutrito gruppo di parlamentari e consiglieri regionali

Dopo il caso sollevato da una donna con post su Facebook, in cui raccontava che dopo un'interruzione terapeutica di gravidanza era stata effettuata una sepoltura nel cimitero Flaminio di Roma con una croce dove campeggia il nome della madre, nonostante avesse dato il diniego alla sepoltura, emergono altri episodi simili. Sul tema il Garante della Privacy ha aperto un'istruttoria per fare luce su quanto accaduto.

Due interrogazioni

Dopo il post e le polemiche è stata anche avviata una interrogazione parlamentare e un'altra, parallela, al presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, da un nutrito gruppo di parlamentari e consiglieri regionali del Lazio. A lanciare l'iniziativa sono state la deputata Leu Rossella Muroni e la capogruppo della Lista Zingaretti, Marta Bonafoni, ma tra i firmatari ci sono tra gli altri anche il capogruppo radicale del Lazio, Alessandro Capriccioli, e l'ex presidente della Camera, Laura Boldrini.

La normativa

La questione scaturisce dalle pieghe della complicata normativa sulla gestione post mortem dei feti: nel Lazio, in assenza di un regolamento regionale - una proposta di riforma del 2015 non arrivò mai in Aula - si fa riferimento al Regolamento nazionale del 1990, che prevede che dalla ventesima settimana di gestazione la sepoltura possa avvenire su richiesta dei genitori o comunque su disposizione della Asl. In quest'ultimo caso, spiega il sito dell'Ama, la municipalizzata romana competente per i cimiter), si appone una "croce in legno e una targa su cui é riportato comunemente il nome della madre o il numero di registrazione dell'arrivo al cimitero, se richiesto espressamente dai familiari". La donna però sostiene di non aver dato il suo assenso, afferma di non riconoscersi nel simbolo cristiano della croce, ma soprattutto sente violata la sua privacy dopo aver visto il proprio nome e cognome 'in pubblico', sulla sepoltura di un feto abortito.

La posizione di Ama e dell'ospedale

Ama ha respinto ogni responsabilità. Secondo la municipalizzata, il cimitero di Prima Porta si è limitato "a eseguire la sepoltura a fronte di un consenso già dato per espresso" dalla Asl, la croce è il segno "tradizionalmente in uso" e l'epigrafe "deve riportare alcune indicazioni basilari per individuare la sepoltura". Ma anche l'ospedale dove è stato praticato l'aborto, il San Camillo di Roma, sostiene di non avere colpe: i feti vengono identificati con il nome della madre solo per la burocrazia legata al trasporto, spiegano, e le carte vengono consegnate ad Ama al momento della presa in carico dei feti. Da quel momento in poi "gestione e seppellimento sono di completa ed esclusiva competenza di Ama" e la violazione della privacy è avvenuta "all'interno del Cimitero Flaminio".

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