Caso Cucchi, giudice si astiene sui depistaggi: "Sono ex carabiniere"

Lazio
Foto di Archivio (ANSA)

In questo processo sono imputati otto militari. Il ministero della Giustizia ha presentato istanza di costituzione di parte civile, insieme con le già costituite, presidenza del Consiglio dei ministri e Arma

Nel processo che riguarda i presunti depistaggi sul caso Cucchi, il giovane detenuto morto nel 2009 all'ospedale Pertini di Roma, il giudice, Federico Bona Galvagno, si è astenuto. Le motivazioni sono legate al fatto di essere un ex carabiniere attualmente in congedo. La decisione arriva dopo l'iniziativa degli avvocati dei familiari di Stefano Cucchi che avevano chiesto la sua astensione, quando hanno appreso da fonti aperte che Bona Galvagno aveva organizzato convegni ai quali avevano partecipato alti ufficiali dell'Arma. "Siamo soddisfatti e ringraziamo il giudice Bona Galvagno, che si è astenuto. Questo dimostra che la nostra istanza era giusta", ha commentato l'avvocato Fabio Anselmo.
Il nuovo giudice monocratico nominato è Giulia Cavallone, figlia del sostituto procuratore generale della Corte di Appello di Roma, Roberto Cavallone, ex pm capitolino. La prossima udienza è stata quindi fissata il 16 dicembre. Nel frattempo, il ministero della Giustizia ha presentato istanza di costituzione di parte civile in questo processo. Tra le parti civili già costituite, la presidenza del Consiglio dei ministri e l'Arma.

Gli imputati

Gli otto imputati sono tutti carabinieri accusati a vario titolo e a seconda delle posizioni di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia. Si tratta del generale Alessandro Casarsa, all'epoca dei fatti comandante del Gruppo Roma, e altri sette carabinieri, tra cui Lorenzo Sabatino, allora comandante del reparto operativo dei carabinieri di Roma; Francesco Cavallo, all'epoca dei fatti tenente colonnello e capo ufficio del comando del Gruppo Roma; Luciano Soligo, all'epoca dei fatti maggiore dell'Arma e comandante della compagnia Roma Montesacro; Massimiliano Colombo Labriola, all'epoca dei fatti comandante della stazione di Tor Sapienza; Francesco Di Sano, all'epoca in servizio alla stazione di Tor Sapienza; Tiziano Testarmata, comandante della quarta sezione del nucleo investigativo dei carabinieri e Luca De Cianni, accusato di falso e di calunnia. 

La lista testi depositata dalla difesa di Casarsa

Nella lista testi depositata dal difensore del generale Casarsa c’è anche il sostituto procuratore Vincenzo Barba, il primo pm che si è occupato della vicenda di Stefano Cucchi. L'avvocato Carlo Longari lo ha inserito tra i suoi testimoni per la vicenda della relazione medica dell'ottobre del 2009, che sarebbe stata realizzata prima dell'autopsia del giovane geometra e di cui il Comando Provinciale dei carabinieri di Roma sarebbe stato a conoscenza. Sul punto, è stato citato come teste anche il generale Vittorio Tomasone, all’epoca numero uno del Comando provinciale. 

L'altro filone processuale

In queste ore si sta svolgendo anche la penultima udienza al processo che riguarda la morte di Cucchi, che vede imputati cinque carabinieri, tra cui tre per omicidio preterintenzionale, la cui sentenza è prevista giovedì 14 novembre. "Si sta facendo una caccia alle streghe perché bisogna necessariamente dare un colpevole", sono le parole dell'avvocato Antonella De Benedictis, difensore di Alessio Di Bernardo, uno dei carabinieri imputati. Poi: "Nel nostro ordinamento la responsabilità è personale. Vostro compito è di accertare la verità processuale. Non contano le parole, ma i fatti acquisiti e provati in sede processuale. Si dovrà porre rimedio alla morte di Stefano Cucchi, non all'omicidio di Stefano Cucchi". L'avvocato ha voluto precisare che oggi il suo assistito non era in aula "nonostante avrebbe voluto metterci la faccia e la parola. Ma lui è malato, gravemente malato, e mi ha chiesto espressamente di chiarire la situazione". Poi un cenno alla famiglia Cucchi ("hanno subito una perdita sicuramente ingiusta. Il problema però è stato uno Stato, incapace di dare tutela e un ragazzo tra i tanti") prima di affrontare il primo punto dell'intervento difensivo: il pestaggio. "Nessun testimone ha avuto la possibilità di riferire di avere visto l'eventuale pestaggio. Manca la prova rappresentativa, la prova 'regina' di un processo. Da una valutazione oggettiva, non vi è alcuna possibilità di garantire una concordanza tra gli elementi indiziari raccolti".

La valutazione dell'attendibilità di Francesco Tedesco

Le dichiarazioni di Tedesco, imputato-accusatore, hanno fatto luce sul pestaggio: "Quello che lui dice non è oggettivo e quello che non è oggettivo non può entrare in un processo. La relazione sparita non c'è. Lui fornisce tre ricostruzioni del pestaggio diverse. Tutta la dichiarazione di Tedesco è semplicemente una personale ricostruzione fatta a posteriori sulla base di riscontri che lui conosceva benissimo perché conosceva le carte processuali", ha proseguito De Benedictis. Poi: "Il pestaggio nella migliore delle ipotesi per il mio assistito è consistito in uno schiaffo, nella peggiore delle ipotesi di uno schiaffo e una spinta. Ma non fu un pestaggio violentissimo, gravissimo, abnorme, reiterato; e questo è scritto anche nella perizia, nella quale si parla di schiaffi e una caduta, forse una spinta, forse un calcio. Null'altro dicono i medici; questo è quanto accaduto. Poi c'è il calcio sul volto che non è stato oggetto di autopsia. È un argomento scenografico suggestivo che non può essere oggetto di questo processo". Infine. "Stefano Cucchi non è morto per le lesioni, ma perché un paramedico si è dimenticato di controllare il catetere. La lesione iniziale non è di per sé mortale. In questo caso non ci troviamo nel campo medico, ma di fronte a un grossolano errore materiale da parte di un paramedico. Ed è la Cassazione che ci dice che in casi come questi l'errore medico deve essere messo in conto". La richiesta conclusiva: assoluzione di Di Bernardo con formula ampia o eventuale derubricazione in lesioni personali dell'imputazione di omicidio preterintenzionale.

Difensore D’Alessandro: "Lunghi anni di un'elefantiasi investigativa spaventosa"

Maria Lampitella, avvocato difensore di Raffaele D'Alessandro, accusato di omicidio preterintenzionale, descrive il processo per la morte di Stefano Cucchi come: "Lunghi anni di un'elefantiasi investigativa spaventosa, in un clima di sospetto spaventoso che ha investito persino gli avvocati". Con una certezza: "Raffaele D'Alessandro non ha picchiato quel ragazzo. Lui non ha messo un dito addosso a Stefano Cucchi. Il giovane purtroppo già precedentemente non stava bene, aveva avuto momenti difficili e lo dimostra la condizione del suo cuore; Stefano Cucchi non è morto per le lesioni subite, non è quella la causa della morte". In questa vicenda "nessuno ha coperto nessuno, nessuna malefatta è stata coperta, c'è una spiegazione per tutto"; e c'è "un leitmotiv che accomuna tutti i testi d'accusa: la tardività delle loro dichiarazioni testimoniali".
Facendo riferimento alla posizione di Francesco Tedesco, l'imputato-accusatore per il quale il pm ha chiesto l'assoluzione dal solo reato di omicidio preterintenzionale "la richiesta di assoluzione - ha aggiunto la penalista - è un oltraggio, non è una cosa sopportabile. Tedesco recita una parte, è un attore perfetto; ma alcune tessere gli mancano. La sua è una recita; si è guadagnato una richiesta di assoluzione. Se ritenere di condannare gli altri due, l'assoluzione di Tedesco è un oltraggio alla giustizia". A conclusione dell'intervento, l'avvocato Lampitella ha chiesto l'assoluzione di Raffaele D'Alessandro o quantomeno la derubricazione in lesioni dell'imputazione a suo carico. "Se poi volete vederci ancor più chiaro - ha concluso la penalista rivolgendosi ai giudici - v'invito ad uscire dalla camera di consiglio non con la sentenza ma con un'ordinanza, affidando una nuova e definitiva perizia medico-legale sulle cause della morte". 

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