Ddl stupro, la nuova legge sul consenso sarebbe rivoluzionaria?

Uno stallo politico che da giorni fa discutere maggioranza e opposizione. La proposta di legge sulla violenza sessuale approvata in prima lettura dalla Camera è stata bloccata al Senato da una richiesta di approfondimenti da parte della maggioranza che consiste in un unico articolo, che riscrive integralmente l'art. 609-bis del codice penale. Il nuovo testo introduce, tra le altre cose, la nozione di "consenso", in linea con i fondamenti della Convenzione di Istanbul, di cui le componenti essenziali sono appunto identificate nella libertà e nell'attualità. L'esito è che qualunque atto sessuale posto in essere senza che vi sia il consenso libero e attuale della persona coinvolta è configurabile come reato di violenza sessuale. Ma la legge non vedrà la luce prima di febbraio 2026, dopo che sotto i riflettori sono finite le "criticità" - segnalate dalla Lega - che hanno portato allo slittamento dell’approvazione in Senato e inevitabili polemiche politiche per una norma che inizialmente sembrava aver trovato una condivisione bipartisan. La presidente della Commissione Giustizia Giulia Bongiorno ha rassicurato dicendo che non c’è stato nessuno stop sul ddl, ma sono state “sollevate delle perplessità sulla possibilità che vi siano delle strumentalizzazioni della fattispecie: bisogna trovare una soluzione per cui ci sia il consenso, ma sia riconoscibile". Matteo Salvini ha affermato, tra le polemiche, che la legge "lascia troppo spazio alla libera interpretazione del singolo" e quello "a vendette personali, da parte di donne e uomini, che senza nessun abuso" potrebbero usare "una norma vaga" a proprio vantaggio "intasando i tribunali". Tutto il Partito democratico si è detto indignato per via dello stallo e la segretaria Elly Schlein ha chiesto alla premier Meloni di far rispettare l’accordo “che ha portato tutta la maggioranza e l'opposizione a votare all'unanimità una norma che prevede una piccola grande rivoluzione culturale, e sarebbe gravissimo se ci fosse stata una resa dei conti della maggioranza sulla pelle delle donne”. Ma che cosa ne pensano gli addetti ai lavori? Secondo Elisabetta Canevini, magistrata del Tribunale di Milano, va chiarito innanzitutto che il cambiamento della norma “darebbe certamente un segnale culturale molto forte, ma dal punto di vista giuridico non avrebbe una portata innovativa così consistente”. Perché, sottolinea, già da diversi anni la Corte di Cassazione ha fissato dei paletti molto chiari. Attualmente la norma dice che "chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni". Nella nuova formulazione invece viene specificato che "chiunque compie o fa compiere o subire atti sessuali ad un'altra persona senza il consenso libero ed attuale di quest'ultima è punito con la reclusione da sei a dodici anni". Il concetto di consenso, specifica Canevini, specializzata in reati di violenza sessuale, il concetto che regola il consenso è lo stesso: "Per poter dire che un contatto sessuale è stato pienamente voluto c’è bisogno che da entrambe le parti ci sia un consenso maturo e libero - che vuol dire non forzato - e cosciente, quindi non viziato da uno stato di alterazione, di incoscienza, o inferiorità psichica". Mentre "attuale" significa che il consenso deve permanere per tutta la durata del rapporto. "Ma questo è già stato cristallizzato dalla Giurisprudenza", ricorda Canevini: "Un 'no' sopravvenuto nel corso di un rapporto impone la sospensione del rapporto, e c’è quasi da stupirsi che ci sia ancora bisogno di sottolinearlo". L’onere della prova Nei giorni scorsi la ministra per la Famiglia Roccella ha affermato che sulla legge sul consenso “il rischio è il rovesciamento dell'onere della prova". Tesi già smentita dal presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia, che ha replicato che “non è assolutamente vero che inserire nel reato di violenza sessuale il "consenso libero e attuale costituisca un'inversione dell'onere della prova", ossia che il denunciato dovrà provare di essere innocente. Tesi sposata anche dalla magistrata: “A livello fattuale non c’è nessuna inversione dell’ordine di assunzione della prova perché deve e dovrà essere sempre il pubblico ministero a dimostrare che quel rapporto è avvenuto senza un libero consenso". Canevini ricorda che spesso si sente dire che “vale la parola della persona offesa contro quella dell’imputato”: “Questa è una grande mistificazione, perché la parola della persona offesa è la parola di una testimone, e la parola di un testimone è la prova regina in un processo penale”. E mentre un testimone assume l’obbligo di dire la verità, , l’imputato è libero anche di mentire, “perché non è costretto a dire nulla che vada contro la sua posizione. E questo è un principio sacrosanto del nostro ordinamento”. Il principio del consenso 'libero e attuale' Ma che cosa ne pensano gli addetti ai lavori? Secondo Elisabetta Canevini, magistrata del Tribunale di Milano, va chiarito innanzitutto che il cambiamento della norma “darebbe certamente un segnale culturale molto forte, ma dal punto di vista giuridico non avrebbe una portata innovativa così consistente”. Perché, sottolinea, già da diversi anni la Corte di Cassazione ha fissato dei paletti molto chiari. Attualmente la norma dice che "chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni". Nella nuova formulazione invece viene specificato che "chiunque compie o fa compiere o subire atti sessuali ad un'altra persona senza il consenso libero ed attuale di quest'ultima è punito con la reclusione da sei a dodici anni". Il concetto di consenso, specifica Canevini, specializzata in reati di violenza sessuale, il concetto che regola il consenso è lo stesso: "Per poter dire che un contatto sessuale è stato pienamente voluto c’è bisogno che da entrambe le parti ci sia un consenso maturo e libero - che vuol dire non forzato - e cosciente, quindi non viziato da uno stato di alterazione, di incoscienza, o inferiorità psichica". Mentre "attuale" significa che il consenso deve permanere per tutta la durata del rapporto. "Ma questo è già stato cristallizzato dalla Giurisprudenza", ricorda Canevini: "Un 'no' sopravvenuto nel corso di un rapporto impone la sospensione del rapporto, e c’è quasi da stupirsi che ci sia ancora bisogno di sottolinearlo". Nessuna inversione dell'onere della prova Nei giorni scorsi la ministra per la Famiglia Roccella ha affermato che sulla legge sul consenso “il rischio è il rovesciamento dell'onere della prova". Tesi già smentita dal presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia, che ha replicato che “non è assolutamente vero che inserire nel reato di violenza sessuale il "consenso libero e attuale costituisca un'inversione dell'onere della prova", ossia che il denunciato dovrà provare di essere innocente. Tesi sposata anche dalla magistrata: “A livello fattuale non c’è nessuna inversione dell’ordine di assunzione della prova perché deve e dovrà essere sempre il pubblico ministero a dimostrare che quel rapporto è avvenuto senza un libero consenso". Canevini ricorda che spesso si sente dire che “vale la parola della persona offesa contro quella dell’imputato”: “Questa è una grande mistificazione, perché la parola della persona offesa è la parola di una testimone, e la parola di un testimone è la prova regina in un processo penale”. E mentre un testimone assume l’obbligo di dire la verità, , l’imputato è libero anche di mentire, “perché non è costretto a dire nulla che vada contro la sua posizione. E questo è un principio sacrosanto del nostro ordinamento”. La sofferenza delle vittime e le denunce sommerse “Le vittime si assumono la responsabilità di quello che dicono, e come per tutti i testimoni, vale la loro attendibilità”, ricorda la magistrata. “La differenza è che alla vittima di furto nessuno chiede come era vestita, e se avesse mostrato prima il portafoglio al ladro, né quanti ne avesse a casa”. L’accertamento del fatto penale “non può avere a che fare con le abitudini della vittima, né sessuali né di altro genere”, osserva Canevini. Intanto il vicepremier Salvini ha dichiarato che la modifica alla legge “lascia spazio a vendette personali, da parte di donne e uomini, che senza nessun abuso userebbero una norma vaga per vendette personali che intaserebbero i tribunali". Canevini è dura su questo punto: “Inviterei gli onorevoli a non parlare di vendette. Chi passa per le aule di tribunale dove si trattano questi processi sa bene che questo concetto è lontanissimo”, sottolinea. “Si tratta di sofferenze inaudite, con effetti sulla vita delle persone spesso indelebili che penso meriterebbero un po’ più di rispetto”. La magistrata esprime anche forti dubbi sull’ipotesi che la modifica al ddl possa intasare le aule di Giustizia. “Non corriamo certo il rischio di denunce per violenze per qualunque tipo di rapporto sessuale. Ma il punto è un altro: le donne denunciano quello che ritengono essere stata una violenza subita, quindi un superamento o un non ascolto della loro diversa volontà”. E c’è ancora un sommerso enorme su queste materie. Ricorda la giurista che gli ultimi dati Istat parlano ancora di una percentuale altissima di donne che hanno subito nella vita molestie o aggressioni sessuali di vario genere, “e abbiamo una percentuale di sommerso che si aggira ancora attorno al 10%, pari a quella di dieci anni fa”. Insomma, se ancora troppe donne non denunciano non c'è nessun rischio di intasare le aule. Un segnale culturale importante In conclusione, secondo Canevini, per quanto la Cassazione abbia da tempo fissato il principio della necessità di un consenso chiaro, libero e permanente per tutto il rapporto sessuale, questa modifica normativa - se approvata - segnerebbe un passo importante sotto il profilo culturale "chiarendo in modo univoco e stabile che se non è accompagnato dal consenso, il rapporto sessuale è un rapporto violento ed imposto, anche se non è stata esercitata violenza fisica o minaccia”. E sarà molto utile anche “per arginare gli ancora troppo frequenti effetti di vittimizzazione secondaria causati dai processi per trattare i casi di aggressioni sessuali nei confronti di vittime in stato di incoscienza o di coscienza alterata dall’assunzione di alcol o stupefacenti”.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Ddl stupro, la nuova legge sul consenso sarebbe rivoluzionaria?

Giulia Mengolini