Le Marche non cambiano corsia. A destra si accelera, a sinistra vietato frenare

La prima e unica partita che era o sembrava incerta si chiude con un dato chiaro: il Centrodestra a trazione Fratelli d’Italia è in salute e vince, il Campo largo - tutti tranne Azione - non basta a conquistare nemmeno una terra fino a cinque anni fa tradizionalmente rossa come le Marche. Certo, di qui a fine novembre si voterà in altre cinque regioni. Ma sembra scontato che ciascuna coalizione conserverà i suoi attuali bastioni, consegnando un 3 a 3 e palla al centro. A quel punto la strada verso le Politiche del 2027 sarà spianata, con in mezzo forse l’appuntamento più incerto: il referendum costituzionale sulla riforma della giustizia, atteso per la primavera del prossimo anno. Senza quorum e con un elettorato al momento diviso esattamente in due nei sondaggi. Le Marche, dunque, danno stabilità al governo e forza a Giorgia Meloni. E a cascata consentono di sbrogliare la partita delle candidature in Veneto, Campania e Puglia. In particolare, rendono più semplice assegnare a un leghista l’eredità di Luca Zaia, con Fratelli d’Italia che può accollarsi il rischio di scambiare l’uovo veneto oggi con una gallina lombarda dopodomani, cioè nel 2028, quando andrà a scadenza la poltrona del presidente Fontana. A guardare dentro la maggioranza, il voto marchigiano conferma il peso predominante di FdI rispetto a Forza Italia e Lega, con il Carroccio ormai lontanissimo dai fasti di qualche anno fa. Uno squilibrio così significativo che potrebbe agitare le acque, in teoria, ma quando si vince tutto è più semplice. E poi per rompere bisogna avere una strada diversa da intraprendere, che invece non si vede affatto. Questo non vuol dire che spariranno distinguo e fughe in avanti sui grandi dossier, dalla politica estera al fisco, mentre si avvicina la sessione di bilancio. Ma le spinte centrifughe interne al centrodestra non sembrano in grado di impensierire una presidente del consiglio semmai concentrata a gestire gli scossoni di Donald Trump e della crisi mediorientale. In termini di alleanze internazionali e ancor più – nelle ultime settimane – in termini di consenso e tensione sociale nel Paese. Non a caso, sulla mobilitazione per Gaza ha giocato l’ultima carta Matteo Ricci, nella speranza di portare alle urne abbastanza elettori per vincere. Non è servito, o forse non è bastato. Il campo largo riparte da Ancona sconfitto, ma intero, salvo Carlo Calenda, come sarà nelle prossime tornate elettorali fino a fine novembre. Il PD resta il baricentro del campo che non è ancora alleanza – Conte dixit. La mancata vittoria ad Ancona spegne gli entusiasmi unitari, ma anche qui – come a destra – sembra difficile pensare di avviarsi alle Politiche del 2027 guardando indietro, al 2022, quando un centrosinistra spaccato in tre regalò a Giorgia Meloni una maggioranza agevole anche in Senato. Le dinamiche politiche di medio periodo, in sintesi, non cambiano verso. Come non cambia il calo dell’affluenza, che pure è lontana dai peggiori record negativi del Lazio e della Lombardia, quando nel 2023 votò poco più di un terzo degli elettori. Anche qui, è una dinamica ormai consolidata e in parte forse irreversibile. Ma qualcosa di concreto si può fare. C’è un libro bianco del 2022 con diverse proposte: election day, non più di due l’anno per qualsiasi tipo di consultazione; possibilità di votare anticipatamente - in certe condizioni - e di farlo anche in un seggio diverso; certificato di voto elettronico. Non basta, ma aiuterebbe, almeno un po’. E sarebbe facile da fare. Se solo il tema della partecipazione – dopo ogni tornata elettorale – non restasse quasi solo nel cuore e nelle parole del Presidente Mattarella.

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Le Marche non cambiano corsia. A destra si accelera, a sinistra vietato frenare

Marco Di Fonzo