Un piccolo colpo al quorum: chi ha vinto, chi ha perso al referendum

La sorpresa, quella grande, non c’è stata. Come tutti prevedevano il quorum resta un miraggio. E così attorno a un referendum che non cambia di una virgola le leggi in vigore si giocano una serie di partite politiche. Tra Centrodestra e Campo largo, nel fronte variegato delle opposizioni, all’interno del PD e infine nell’arco sindacale, CGIL in testa. Tanti match urlati, alcuni sottotraccia, nessuno dei quali destinato a incidere più di tanto nel lungo periodo. Eppure, in grado di creare un clima, cesellare i rapporti di forza, in vista delle Regionali d’autunno, con un occhio alle Politiche di fine legislatura. Innanzitutto, il governo e la maggioranza. Che avevano spinto in massa sull’astensionismo per depotenziare il voto, bollato come una resa dei conti a sinistra, e un minuto dopo la chiusura dei seggi rivendicano di uscire più forti da una iniziativa giudicata un boomerang per le opposizioni politiche e sindacali. Si legge anche, in sottofondo, una sensazione di scampato pericolo, esile ma presente, dopo che tutti i big del centrodestra, compresa la premier Meloni, avevano deciso di scendere in campo in prima persona nella campagna referendaria. C’era il rischio di dare involontariamente una mano alle opposizioni nel politicizzare la sfida. E forse c’entra qualcosa il fatto che la presenza della Presidente del Consiglio nel suo seggio romano sia stata tenuta mediaticamente più defilata possibile, domenica sera. Nel fronte dei promotori, Maurizio Landini è il primo a metterci la faccia. Inevitabile, visto che la sua CGIL aveva avviato la raccolta firme sulle proposte dei 4 quesiti in materia di lavoro. Ammette che l’obiettivo era cambiare le regole e senza quorum questo non succede, il segretario della CGIL, che pure precisa di non aver alcuna intenzione di dimettersi. Di certo, semmai aveva sognato un passaggio in politica, sempre smentito, questa battuta d’arresto lo rende più complicato. Così come i rapporti con una CISL che invece si era schierata contro l’iniziativa referendaria. I colpi d’assestamento nel sindacato sembrano meno intensi di quelli che si sentono dentro il Partito democratico. La maggioranza che sostiene Elly Schlein vede comunque segnali incoraggianti. Francesco Boccia scorge “un fronte sociale unito e coeso che, anche in termini di elettori, vale esattamente il centrodestra”. Ma l’area riformista, erede della stagione renziana, ha sùbito invocato un cambio di rotta, parlando senza mezzi termini di una sonora sconfitta. La leadership di Schlein non sembra in pericolo, ma è da capire cosa accadrà sulla linea quantomai tesa che passa tra il Campo largo tra Dem 5 stelle e AVS e l’area centrista. I risultati delle urne ampliano le distanze, con Calenda che rilancia l’obiettivo di un’area liberale ben lontana dal fronte sinistro. Fuori dal cerchio dei rapporti politici rimangono i grandi temi di questi tempi difficili, per le democrazie occidentali: la partecipazione dei cittadini, la volontà di contare, la possibilità di farlo. Rivedere l’asticella del quorum, fare quesiti più chiari e mobilitanti, potrebbero essere strade utili. Avviare un dibattito serio senz’altro aiuterebbe: senza strumentalizzazioni e senza voler piegare, come accade spesso con le riforme elettorali, le regole alle immediate convenienze di parte. Un respiro corto che rischia di rendere cianotica la nostra democrazia.

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