Dalla “panna montata” alla “diplomazia obbligata” di Meloni con Macron

“Macron? Alla fine è venuto a Canossa”, sibilano nei dintorni di Palazzo Chigi, evocando con una punta di velenosa soddisfazione la celebre umiliazione imperiale. All’Eliseo, invece, si minimizza: “È normale che il presidente voglia riunire gli europei e lavorare con tutti”. Ma è proprio questo bisogno di plasmare una narrazione su misura l’immagine più significativa di un bilaterale tanto atteso quanto inatteso. Macron arriva a Roma per incontrare Giorgia Meloni, dopo settimane – e mesi – di frizioni, in un contesto in cui un’affinità tra i due non è mai davvero sbocciata. Cosa è successo, allora? Sono davvero pronti a diventare “buoni amici”? È vero, come sostiene Meloni, che su questo eterno braccio di ferro “si è fatta troppa panna montata”? La sensazione è che la realtà sia ben meno romantica per entrambe le parti: l’incontro non nasce da una convergenza politica, ma da una reciproca necessità. Non è Roma che trionfa su Parigi, né Parigi che si piega a Roma. È piuttosto l’Europa che si ripiega su sé stessa, nel tentativo di ritrovare una voce comune in un mondo sempre più privo di approdi sicuri. Macron, che fonda la propria leadership sulla politica estera, si è reso conto di quanto sia difficile muoversi senza più la certezza di avere gli Stati Uniti al proprio fianco. Meloni, che ha costruito la sua immagine da leader solitaria e sovrana, sperimenta ora sulla propria pelle i rischi di giocare da sola, quando gli equilibri si fanno più instabili. Ecco allora che la “panna montata”, evocata con sarcasmo dalla premier, serve oggi più che mai a coprire divergenze e antipatie. Una dolce retorica per mascherare un’amara verità: Italia e Francia non si fidano l’una dell’altra, ma non possono più permettersi il lusso di litigare, come accaduto nelle ultime settimane. Il primo scossone è arrivato con l’iniziativa dei cosiddetti “volenterosi” per l’Ucraina, promossa da Macron e mai digerita da Meloni, che l’ha vissuta come un tentativo di scavalcarla sul piano internazionale. A seguire, l’immagine diventata virale: Macron, Zelensky, Starmer e Donald Trump , immortalati insieme proprio mentre la premier italiana declinava l’invito a recarsi a Kiev. Poi arriva il vertice di Tirana. Ancora Macron, Starmer, Merz e il polacco Tusk seduti con Zelensky. Meloni? Non invitata. E la frattura si allarga. La presidente del Consiglio prova a minimizzare: “L’Italia non partecipa a riunioni sull’invio di truppe”. Macron la smentisce pubblicamente, accusandola – nemmeno troppo velatamente – di diffondere informazioni errate: “Già ci sono abbastanza fake news russe in circolazione”. Ma l’orgoglio ferito di Meloni si riorganizza. A Roma mette in scena la propria contromossa: riceve il vicepresidente americano J.D. Vance e Ursula von der Leyen: “Ecco il ponte tra Europa e Usa”. Incontra anche Merz e, davanti ai giornalisti, lancia un messaggio all’Eliseo: “Basta personalismi e fughe in avanti”. In questo clima di scintille e rivendicazioni, il bilaterale romano assume quindi un peso che va ben oltre la liturgia diplomatica e le relazioni bilaterali tra Italia e Francia. La realtà è che l’Europa è nel mezzo di una crisi sistemica. La guerra in Ucraina è lontana da una soluzione, sui dazi l’equilibrio finale è ancora da costruire, e Trump si dimostra ogni giorno più imprevedibile e indecifrabile nei suoi obiettivi. In questo contesto, né Macron – che puntava sul peso specifico della Francia – né Meloni – che aveva scommesso tutto su un rapporto privilegiato con il tycoon – riescono davvero a imporsi. Entrambi cercano da mesi di ergersi a protagonisti. Ma senza risultati evidenti. Il rapporto personale di Meloni con Trump, alla fine, non ha evitato l’esclusione da alcuni vertici. L’attivismo di Macron sui “volenterosi” ha incontrato resistenze impreviste. Da qui nasce il bisogno di deporre le armi. Donald Trump è il convitato di pietra di questo vertice romano. Né Meloni né Macron lo diranno apertamente, ma entrambi iniziano a essere preoccupati. Temono che nessuna alleanza sarà più stabile. E sanno, al netto degli slogan, che un’Europa divisa rischia di affondare. Per questo oggi scelgono la tregua: per evitare che le rispettive debolezze si trasformino in irrilevanza. Nel racconto ufficiale, Macron chiede l’incontro, Meloni lo concede, Roma diventa il centro della diplomazia. Ma la verità è che, in una fase geopolitica così instabile, non ci si può più ostacolare a vicenda. Motivo per cui, più che sul primo piano dei protagonisti, conviene concentrarsi sullo sfondo della fotografia di questo bilaterale. Uno scatto che, ancora una volta, immortala un’Europa in stallo, con i suoi leader che annaspano mentre il mondo, fuori, scalpita.

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