Scontro Manifesto. I tre livelli di frattura dietro il caso Ventotene

Uno spettro si aggira per l’Europa, o almeno per l’Italia. Parafrasando l’incipit di un altro celebre manifesto, potremmo dire che forse mai quello di Ventotene è apparso così vivo e centrale nel nostro discorso pubblico come in questi giorni. Sbandierato e celebrato dai manifestanti convocati da Michele Serra in piazza del Popolo, letto e criticato da Giorgia Meloni nell’aula di Montecitorio. Un uso politico di un pezzo di storia che si snoda su più livelli, paralleli e almeno in parte convergenti. La premier ha tentato di nascondere le fratture della maggioranza L’utilizzo tattico, immediato, è quello che ha consentito a Giorgia Meloni di dare minor visibilità alle divisioni interne sul piano di riarmo europeo lanciato da Ursula Von der Leyen. Mentre la premier riferiva in Parlamento usando parole non benevole su ReArm Europe, senza però smentire il sostanziale via libera già dato al vertice europeo di inizio marzo, la Lega avvisava: Meloni non ha il mandato per sostenerlo. "Not in my name", insomma, diceva Salvini mentre diffondeva foto del suo faccia a faccia con Orban. Segno che le distanze, invece di ridursi, si stanno ampliando. E l’attacco frontale a un testo sacro dell’europeismo ha scatenato un polverone utile a nasconderle. Con l’effetto collaterale, certo non voluto dalla premier, di mascherare anche le tante divisioni tra i partiti di opposizione e dentro lo stesso Partito democratico. Meloni prende ancora le distanze dall'antifascismo in vista del 25 aprile Ma il manifesto di Ventotene – come ha ricordato Meloni – è stato il punto di riferimento ideale del raduno europeisa di sabato scorso in piazza del Popolo. E questo ci aiuta a capire un secondo livello di uso del testo, meno tattico e più di medio periodo. Di fatto potremmo dire che è già entrato nel vivo il 25 aprile, la ricorrenza della Liberazione più lunga dei suoi ormai 80 anni. Una quarantena laica più lunga anche di quella del 1994, quando, all’indomani della vittoria di Silvio Berlusconi il 27 marzo, una sinistra frastornata cercò di battere un colpo con il grande corteo di Milano, in quel 25 aprile di pioggia battente. Dietro lo scontro sui contenuti del manifesto, infatti, c’è quello sugli autori, antifascisti al confino, e più in generale sulla Resistenza e sul tema dell’antifascismo, quantomai sensibile da quando c’è la destra al governo. Manca ancora un mese, ma le premesse non fanno intravedere gesti clamorosi - da parte di Giorgia Meloni - di avvicinamento ai simboli, alle parole, ai valori dell’antifascismo. Anzi, le ruvidezze sullo scritto di Spinelli e Rossi sembrano voler marcare di nuovo una distanza finora consapevolmente mai colmata, per convinzione e per non scoprirsi a destra. La scollatura sull'idea di Europa: più federale o Unione delle nazioni? Infine, attorno al manifesto di Ventotene passa un altro cleavage profondo: quello tra chi vorrebbe una Europa più integrata, più unita, insomma federale, e chi invece crede e rilancia una Unione delle nazioni, anzi delle Nazioni. Sembra il livello più teorico dello scontro e invece è quello più concreto. Perché in seguito agli scossoni di Donald Trump la storia sta accelerando. E l’Europa deve decidere in fretta cosa fare da grande. Una per tutte: se mantenere le decisioni all’unanimità in Consiglio oppure superare una volta per tutte il potere di veto di un singolo Stato. E aggiungiamo: se delegare al livello europeo altre materie, a partire dalla Difesa, oppure perseguire un principio di sussidiarietà stretto con la centralità dei singoli Stati. Prendendo le distanze dal sogno federalista di Altiero Spinelli, Giorgia Meloni rinsalda le basi ideali del suo modello nazionalista. Non è un caso che Sergio Mattarella quel sogno lo abbia più volte invece ravvivato e rilanciato.

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