Caso Almasri, l’ultima scintilla nell’arena della giustizia che cambia

Almasri, migranti in Albania, Santanché, Caputi, Open Arms. Come una serie di scintille che si scaricano in una stanza piena di gas, gli ultimi casi giudiziari rendono elettrico il clima tra politica e giustizia. E lo portano pericolosamente vicino all’incendio istituzionale, sotto l’occhio discreto ma inevitabilmente attento e preoccupato del Quirinale. A rendere infiammabile il tutto c’è poi la riforma della giustizia, che avanza spedita in Parlamento. La scintilla più recente e più potente è scaturita dall’indagine aperta su Meloni, Mantovano e alcuni ministri relativa al caso Almasri. A processo non si andrà mai, visto che servirebbe il via libera del Parlamento, a netta maggioranza di centrodestra, ma la decisione della premier di contrattaccare sul punto basta e avanza ad alimentare lo scontro tra governo e toghe. Già registrato platealmente sabato 25 gennaio, quando in tutte le corti d’appello d’Italia gran parte dei magistrati ha lasciato la sala, Costituzione alla mano, nel momento in cui intervenivano i massimi livelli dell’Esecutivo. E che ora sale di grado, dopo gli ultimi sviluppi attorno al caso del torturatore libico. In attesa di capire se arriveranno novità nel merito del caso Almasri, che potrebbero semmai incattivire ulteriormente il conflitto, altre inchieste e dossier restano aperti, o meglio dire accesi, restando alla metafora delle scintille. La questione migranti in Albania, che dall’estate ha scatenato più volte polemiche durissime tra governo e magistratura, si ravviva pericolosamente, con la ripresa dei trasferimenti nelle strutture di là dall’Adriatico e le dispute sulla legittimità dell’operazione. Ed è facile prevedere nuove tensioni almeno finchè non si pronuncerà la Corte di Giustizia europea, chiamata a dire la sua sul capitolo Stati sicuri non prima di fine febbraio. C’è poi il caso Santanché, con la ministra del Turismo già rinviata a giudizio per falso in bilancio a Milano e in attesa di capire come evolveranno altri filoni giudiziari che la riguardano. Le sue ripetute rassicurazioni sulla voglia di andare avanti, fino al “me ne frego” rivolto ai dubbi di molti colleghi di partito, non trovano una sponda solida a palazzo Chigi, per usare un eufemismo. Anche se il ricompattamento del centrodestra sul caso Almasri potrebbe darle una mano, almeno a prendere tempo in attesa di un eventuale rinvio a giudizio per truffa. Infine, pesa la vicenda del capo di gabinetto della premier, Gaetano Caputi, che sarebbe stato oggetto di verifiche da agenti dell’AISI . Caso più defilato sui giornali, ma che certo non aiuta a svelenire il clima di sospetto e diffidenza tra apparati dello Stato. Non foss’altro perché la notizia è emersa da una inchiesta per rivelazione di segreto aperta da Lo Voi, lo stesso procuratore di Roma che ha avviato l’indagine sul caso Almasri a carico del Governo. Fin qui le scintille, che impattano in una stanza resa altamente infiammabile dalla riforma della giustizia. La legge costituzionale che sancisce la separazione delle carriere e ridisegna l’architettura dell’autogoverno delle toghe ha appena ricevuto il primo via libera di Montecitorio e si prepara a incassare il primo sì del Senato. Entro l’estate dovrebbe arrivare il secondo, doppio voto del Parlamento, stando al timing annunciato dal ministro Nordio. Tempi che al momento sembrano a portata di mano, tanto più che in Senato nelle ore successive alla svolta giudiziaria sul caso Almasri c’è stata una ulteriore accelerazione in commissione. Sarebbe una novità epocale, che nemmeno Silvio Berlusconi, all’apice della sua forza, era riuscito a portare a casa. Certo resterebbe il referendum confermativo, che – ricordiamo – non ha bisogno di un quorum minimo di votanti. Ma si svolgerebbe in un clima diverso dagli anni del Cavaliere. La magistratura all’epoca era forte della popolarità guadagnata ai tempi di Mani Pulite, mentre i conflitti di interesse di Berlusconi in parte lo indebolivano, costringendo tutti a schierarsi di là o di qua. Ora questi due fattori non ci sono. La fiducia dell’opinione pubblica nelle toghe è diminuita, e Giorgia Meloni non ha il sospetto di interessi diretti nell’occuparsi di giustizia. La sua maggioranza, litigiosa su tanti punti, si è compattata su quella che a inizio legislatura era la bandiera di Forza Italia, mentre Fratelli d’Italia puntava sul premierato e la Lega sull’autonomia differenziata. E così la riforma della giustizia è l’unica che marcia spedita. Dall’opposizione anche le forze di centro la stanno sostenendo, e alcuni nel PD lo farebbero se non fosse per la disciplina di partito. In questo scenario si va avanti, in Parlamento e fuori, in attesa della prossima scintilla.

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