Le vittime preferite dei sex offender: i figli non visti

Prego, scomodati ché continuiamo a parlare dell’uomo nero. La scorsa settimana infatti ti avevo dovuto salutare per evitare di incorrere nel reato di sequestro di persona: il mio pezzo sull’adescamento sessuale ai danni dei minori aveva flirtato molto più di altri argomenti con la mia tendenza ad essere fluviale, ma ad un certo punto andava trovata una conclusione - oppure, anziché un articolo, avrei finito con il redigere un pamphlet. Poco male: come promesso, il tempo di lasciar decantare la prima parte e sarei tornata da te, lettore scomodo. Ed eccomi qui. Riprendendo il filo, settimana scorsa avevo fatto riferimento a come sia “ rarissima una versione della storia nella quale un sex offender si avventa su un bersaglio aspecifico e casuale”, spiegandoti come in genere la vittima prescelta sia il risultato di un preciso schema predatorio, che risponde ad un piano ricorrente e consolidato al punto da contenere passaggi con chiari obiettivi di fase, battezzati dagli esperti con nomi che danno ulteriormente l’idea della loro concreta esistenza e ricorsività. Un violentatore non parte lancia in resta a oltraggiare fisicamente la sua vittima sbucando da dietro un albero, non funziona così. Qualora capitasse, temo che in effetti oltre a cercare di urlare il più forte possibile augurandosi di non essere ignorati o di appellarsi al proprio istinto di sopravvivenza dimenandosi e tentando un’offensiva improvvisata , ci sia poco altro da fare. Come sto provando a spiegarti, tuttavia, si tratta di una statistica riferita più alle storie fiction che non alla realtà, quindi forse possiamo tenere l’ansia del malintenzionato-celato-dietro-al-tronco-di-un-faggio sotto controllo, non perdendo la testa. Se sto riuscendo nel mio intento di farti preoccupare solo di quello che merita l’accensione del tuo stato di allerta, il lettore scomodo più attento farà a questo punto un collegamento sensato e coerente: un elemento delle storie di violenza sessuale che i numeri non hanno mai smentito è quello per il quale il violentatore non solo è conosciuto alla vittima, ma non di rado può essere un famigliare. Per i più dotati di un ragionamento fine, di classe: questo dato va letto comprendendo proprio che nel circuire una preda quello che piace all’aggressore non sta - appunto - nell’abusare sessualmente di chi passa di lì, bensì nell’instaurare una dinamica di potere e dominazione che in primis è psicologica. Nell’alveo di dinamiche di assoggettamento di questo tipo, la violenza sessuale è uno dei mezzi per affermarsi sull’Altro, non lo scopo ultimo. Ben capirete infatti che se l’obiettivo fosse esclusivamente fisico, in effetti sarebbe più rapido e conveniente sbucare da dietro il nostro faggio, disinnescare la reattività della vittima, agire l’atto delittuoso e darsi alla macchia, no? . Non ho scritto il verbo blandire da zoticona, a caso, ma con convinzione. Significa carezzare ipertroficamente l’ego altrui, lusingare fino ad essere melliflui. Insinceri. Simulatori. Manipolatori. Volendo infatti mantenere la promessa di ragionare insieme su come poter fare la propria parte in difesa dei più giovani, desidero concentrarmi su un aspetto che ritengo fondamentale come fattore di rischio. Badando a contrastarlo, potremmo immaginare di rendere oltremodo ostica la possibilità di offrire prede designate per i piani degli adescatori. Ebbene, i minori che entrano con più facilità nei radar degli aguzzini sono quelli poco visti. È un concetto di non semplice spiegazione - soprattutto oggigiorno che la famiglia contemporanea si fregia di essere particolarmente attenta e con gli occhi sbarrati in stile Arancia Meccanica. Un figlio e una figlia non visti tuttavia non vanno intesi come ragazzini e ragazzine controllati nel senso di geolocalizzati, seguiti perché abbiano voti alti a scuola, monitorati affinché rispettino le regole dei genitori. Al contrario, figli e figlie cui viene offerta questa esperienza di vita sono sovente infelici, a volte addirittura depressi, ma come si sentono realmente non viene intercettato da nessuno. Il loro malessere può così capitare faccia il giro e si congiunga in un cerchio di senso con la loro nemesi, ossia i coetanei apertamente trascurati, lasciati crescere da soli senza cure né regole. I primi, vivono in cattività. I secondi, in stato di abbandono. In psicologia, dal punto di vista evolutivo, le due condizioni sono parimenti patogene, l’una l’altra faccia dell’altra. Ecco che allora questi figli non visti, trattati alla stregua di pedine sul tabellone della vita i cui dadi sono esclusivamente in mano ai genitori, qualora incontrassero qualcuno capace di entrare in contatto con il loro punto debole , non si farà sfuggire l’occasione di avvicinarli, dare loro ascolto, cercarli, farli sentire importanti, voluti bene, speciali, unici. Prescelti. Tramite un avvicinamento studiato ma progressivo, si guadagnerà la loro fiducia, tratteggerà loro scenari alternativi alla desolata solitudine cui si sentono consegnati e quando verrà loro chiesto qualcosa in cambio , be’. Tendenzialmente lo otterranno e non è nemmeno detto che sarà necessario ricorrere alla forza. Si chiama vittimologia, ed è la disciplina che studia la relazione tra vittima e carnefice. Per prevenire il rischio che un minore incorra nel pericolo di essere saccheggiato della sua salute psicofisica, dobbiamo dunque crescere persone, non figli. Esseri viventi invitati a partecipare attivamente all’esistenza, con i quali entrare in relazioni sane e autentiche. Soggetti in grado di riconoscere i legami affidabili come tali, senza precipitare sul fondo del bisogno di subire e sopportare pur di essere considerati interessanti da qualcuno.

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