Perché in Italia la gestione idrica resta una sfida aperta

Nel 2015, i Paesi membri delle Nazioni Unite hanno sottoscritto l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile: un programma globale per affrontare le grandi sfide ambientali, sociali ed economiche del nostro tempo. Tra questi, il Goal 6 impegna gli Stati a “garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie”, un traguardo che si intreccia con altri obiettivi fondamentali, come il contrasto al cambiamento climatico e la protezione degli ecosistemi acquatici . Eppure, a meno di cinque anni dalla scadenza, l’Italia non è sulla buona strada. Secondo gli ultimi dati Istat, nel 2022 il sistema di gestione idrica era ancora affidato a oltre 2.100 enti, con una frammentazione marcata in regioni come Calabria, Sicilia e Campania. Nel 2023, un terzo dei capoluoghi del Sud Italia ha dovuto razionare l’acqua, mentre il numero di perdite resta elevato e una parte significativa della popolazione continua a non fidarsi dell’acqua del rubinetto. Solo il sistema fognario risulta pienamente conforme agli standard europei. A rischio un bene essenziale Uno dei principali ostacoli al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 in materia idrica è la frammentazione della gestione delle risorse. Nel 2022, gli enti che forniscono servizi idrici civili in Italia erano 2.110, un numero elevato se si considera che la riforma del 1994 aveva introdotto il concetto di servizio idrico integrato proprio per razionalizzare la filiera. La maggioranza è costituita da gestioni “in economia”, ovvero comuni ed enti locali, mentre solo 372 gestori sono specializzati. Quattro enti su dieci gestiscono l’intero ciclo dell’acqua, dal prelievo alla depurazione, ma in molte aree del Paese la filiera resta spezzata e frammentata. Nonostante il numero dei gestori sia diminuito nel tempo, l’attuazione della riforma resta incompleta, con criticità ancora evidenti in Calabria, Campania, Molise, Sicilia, Valle d’Aosta e nelle province autonome di Trento e Bolzano. In Sicilia e Sardegna, la quota di sfiducia sfiora rispettivamente il 50% e il 48%, mentre in Calabria è al 39,9%. Le percentuali sono più basse nei Comuni più piccoli e nei centri metropolitani, segno che la fiducia nell’acqua pubblica è anche questione di contesto e accesso a servizi efficienti. Altre due criticità strutturali aggravano la situazione: le perdite lungo la rete di distribuzione e le misure di razionamento dell’acqua potabile, ormai sempre più diffuse. Nel 2022, le gestioni in economia hanno registrato una perdita media del 45,5% del volume immesso in rete, un dato superiore di oltre tre punti percentuali rispetto alla media nazionale e ben al di sopra delle soglie di efficienza. Le gestioni specializzate si attestano su valori leggermente migliori , ma restano lontane dagli standard di sostenibilità. A causa del cattivo stato delle infrastrutture idriche e dei periodi di siccità causati dal cambiamento climatico, nel 2023, un terzo dei capoluoghi del Sud Italia ha dovuto ricorrere a misure di razionamento, con sospensioni o riduzioni nell’erogazione dell’acqua, spesso prolungate e diffuse. Agrigento, ad esempio, ha affrontato 208 giorni di sospensione e 157 di erogazione ridotta, mentre a Trapani e Messina i disservizi hanno interessato centinaia di migliaia di residenti per mesi, in alcuni casi con il ricorso alle autobotti. Anche se la quota della popolazione direttamente coinvolta da queste misure è scesa dal 2,8% nel 2021 all’1,1% nel 2023, l’anno successivo ha segnato un nuovo peggioramento: nel 2024 le restrizioni sono aumentate, sia per numero di Comuni coinvolti che per durata e intensità delle interruzioni. La frammentazione gestionale, le perdite lungo la rete, i razionamenti e l’obsolescenza delle infrastrutture non hanno solo effetti sulla quantità e continuità del servizio idrico, ma anche sulla percezione della sua qualità. Nel 2024, quasi tre famiglie su dieci dichiarano di non fidarsi a bere l’acqua del rubinetto, una diffidenza che, pur in lieve calo rispetto al passato , rimane fortemente radicata, soprattutto nelle isole. A compensare questa mancanza di fiducia è un uso massiccio di acqua in bottiglia: oltre l’82% della popolazione di 11 anni e più ne consuma almeno mezzo litro al giorno, con picchi superiori all’87% nel Nord-Ovest e nelle Isole. L’Umbria guida la classifica regionale con un consumo del 92%, mentre la provincia autonoma di Bolzano rappresenta l’eccezione virtuosa, con “solo” il 58,6%. Rete fognaria in buona salute La rete fognaria nazionale si conferma infine come l’unico segmento del servizio idrico in buona salute. Nel 2022, infatti, il servizio pubblico di fognatura era attivo nel 99,5% dei comuni italiani, con una copertura complessiva che raggiunge l’88,8% della popolazione. Anche se in alcuni casi la rete non è ancora pienamente operativa il dato resta tra i più stabili e positivi del settore. A occuparsi del servizio sono 1.866 gestori, per la maggior parte enti locali che operano in economia, e il numero è in calo rispetto al 2020. Sebbene circa 6,6 milioni di persone non siano ancora allacciate alla rete pubblica, si tratta di un dato in linea con la media europea: l’Italia si colloca infatti al nono posto tra i Paesi membri dell’Unione europea. Le regioni del Nord, in particolare il Nord-Ovest, mostrano i livelli più alti di copertura , con la Valle d’Aosta a sfiorare il 98%. Le criticità non mancano, soprattutto nelle isole: in Sicilia, ad esempio, la rete raggiunge solo il 76,5% dei residenti, con punte minime nella città metropolitana di Catania, dove poco più di un terzo della popolazione è servita.

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