Una serie tv riapre il dibattito sui femminicidi in Francia

“L’amore fino alla morte”, “I danni della passione”, “l’amore battuto”. Sono alcuni dei titoli di giornale dedicati nel 2003 a quello che è diventato uno dei casi di femminicidio più noti in Francia, ora protagonista di una serie prodotta da Netflix, intitolata “Da rockstar ad assassino: il caso Cantat”, che sta riaprendo una discussione nel Paese su come è giusto trattare e raccontare il tema delle violenze sulle donne. L’omicidio di Marie Trintignant Era l’estate del 2003 quando, dopo mesi di relazione dominata da un atteggiamento geloso, morboso, possessivo e morboso, Bertrand Cantat picchio con una tale violenza Marie Trintignant da mandarla in coma. Per sei ore evitò di chiamare i soccorsi, sperando che lei si “risvegliasse da sola”. Quando venne infine trasportata in ospedale, vennero riscontrati un edema cerebrale, multipli traumi cerebrali, rottura del nervo ottico, del setto nasale, traumi vari sul corpo. Era stata picchiata a morte, l’amore cosa c’entrava? La condanna di Cantat “Tra il cantante e l’attrice scorreva la passione. In una notte di luglio i piccioncini hanno avuto una litigata violenta a Vilnius, Lituania . Il cantante dei Noir Désir alzò la mano destra…”. Così ne scriveva Le Monde nel 2006, quando Cantat era già stato condannato per l’omicidio e si trovava in carcere dove rimase, a dir la verità, per poco tempo. Venne condannato a otto anni per l’omicidio dí Trintignant, che venne classificato dai giudici lituani come un “delitto passionale” e dunque soggetto a pene meno gravi rispetto a “un omicidio normale”. In ogni caso Cantat ne scontò appena la metà, quattro. Durante il processo, si era difeso dicendo che Trintignant l’aveva provocato e che era una “isterica”, facendo passare nei media francesi l’idea che la vittima “se la fosse cercata” e “anche un po’ meritata”. La nuova vita dopo il carcere Cantat poté dunque tornare libero e riprendere la sua attività di musicista, prima con il gruppo rock Noir Désir che l’aveva reso una celebrità in Francia, poi da solista. Venne mandato a vivere con la ex moglie Krisztina Rady, lasciata anni prima per avviare una relazione con Marie Trintignant, e con cui il cantante aveva avuto due figli. La donna aveva deciso al processo di testimoniare a favore di Cantat, negando che fosse mai stato violento con lei e nascondendo - racconta il documentario - i ricoveri al pronto soccorso legati proprio alle violenze domestiche subite dal cantante. Si suicidiò nel 2010 in seguito alle vessazioni e alle persecuzioni psicologiche impostele da Cantat, testimoniate da chi la conosceva all’epoca e da una richiesta di aiuto da lei lasciato nella segreteria dei genitori, ma il cantante non venne mai indagato per quelle violenze né per istigazione al suicidio. La colpa collettiva Di chi è colpa, chiede il documentario, se la pericolosità e la colpevolezza di Cantat sono stati a tal punto sottovalutati dalla società e dai media francesi? Al punto che nel 2017 la rivista musicale Inrockuptibles ritenne normale dedicare la copertina al cantante, intitolata “Nel nome di Cantat”, accompagnandola con una lunga intervista in cui le violenze e l’omicidio non venivano menzionati una sola volta? È l’intera società a essere messa sotto la lente d’ingrandimento. Non sono solo i fan dei Noir Désir a voler sottostimare il comportamento di Cantat, di cui subiscono il fascino del “cantante maledetto”. Anche giornalisti, intellettuali, giudici dell’epoca parlano della vicenda come se picchiare a morte la propria compagna per gelosia fosse un “normale effetto collaterale della passione”. Bisogna attendere l’inizio del movimento #MeToo in Francia, con la messa in discussione dell’intero sistema culturale e l’apertura alle testimonianze e alle voci delle donne che hanno subito violenze, perché anche la vicenda Cantat trovi il giusto modo di essere raccontato oltralpe. Solo a quel punto, si vede nel documentario, sono iniziate le prime proteste femministe nei confronti del cantante ed è nato un dibattito sull’opportunità di acclamare un uomo - per quanto artista - responsabile di un omicidio e di altre violenze. Il cambio della società francese Dall’inizio del movimento MeToo, quindi, appare incredibile quanto la società francese abbia accelerato sul tema delle violenze contro le donne, almeno dal punto di vista della consapevolezza della società. Le accuse di violenze hanno messo in discussione i protagonisti del mondo della cultura, dell’informazione e dello spettacolo, dimostrando che non esistono più “intoccabili”, fino ad arrivare alla piramide con l’avvio del processo contro Gerard Depardieu . Il processo per gli stupri subiti da Gisèle Pelicot ha decretato che “la vergogna deve cambiare campo” e spostarsi dalla parte degli stupratori, non delle vittime. Casi come quello del medico pedofilo Joël Le Scouarnec hanno rivelato l’omertà diffusa, tra famiglie e istituzioni pubbliche, persino su temi delicati come le violenze imposte ai più piccoli. La parola delle vittime, insomma, si è liberata e le analisi delle colpe si è spostata finalmente dalla parte giusta della storia, quella di chi uccide o compie violenze. Un cambiamento rapido quanto non indolore per la società francese, che ancora conta troppe vittime di femminicidio ed è lontana dall’aver sconfitto il problema delle violenze di genere. Ma che se non altro ha smesso di “giustificarle” con le parole. E che con l’uscita di questo documentario - di produzione interamente francese - si auto-analizza senza auto-assolversi.

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