Armi all'Ucraina, Draghi e maggioranza in fibrillazione

Politica
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Il protrarsi della guerra ha trasformato le posizioni dei partiti che sostengono Mario Draghi creando due fronti ben delineati.  In una prima fase, il sostegno alle scelte del governo era bipartisan. Ma con il passare delle settimane, sono emerse profonde differenze anche nella maggioranza. Ora il M5s chiede esplicitamente di smetterla di inviare armi, sostenuto anche dalla Lega. PD e FI ritengono che, senza un sostegno militare, l'Ucraina sarebbe condannata alla resa a Vladimir Putin

 

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Un lungo applauso il 1° marzo. E l'approvazione bipartisan di due risoluzioni votate a larghissima maggioranza. Cinquecentoventi sì alla Camera, 244 i voti al Senato. Così era cominciata la vicenda politica che ha guidato il Governo nella gestione della guerra in Ucraina. Tutti (o quasi) uniti nel sostegno allo stato guidato dal premier Zelensky. Sostegno umanitario e militare. Ma già allora c'erano delle piccole avvisaglie di quello che sarebbe stato: in Senato 11 esponenti del Movimento, alcuni in missione o giustificati, non votarono la mozione. Sette le defezioni della Lega (GUERRA IN UCRAINA: LO SPECIALE - GLI AGGIORNAMENTI IN DIRETTA).

Il caso delle spese militari 

La prima vera aritmia politica arriva sull'aumento delle spese militari. Il governo punta ad un incremento del 2% entro il 2024, come da accordi in seno alla Nato. Giuseppe Conte non ci sta (grafica con data) e il 27 marzo scandisce: siamo la forza di maggioranza relativa e se si tratta di discutere un nuovo indirizzo faremo valere la nostra presenza. Il governo così fa fibrillare la maggioranza. Il sereno torna con un accordo che prevede l'aumento sì del 2%, ma diluito fino al 2028. Il resto della maggioranza fino a quel momento è graniticamente al fianco del governo, o quasi. Berlusconi, dopo settimane di silenzio, il 9 aprile dice chiaramente: "Putin mi ha deluso. Pensavo fosse un uomo di pace. Quella all'Ucraina è una aggressione senza precedenti". 

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La linea del Piave del M5s

La guerra prosegue, l'impegno italiano anche. La maggioranza è la stessa, ma le sensibilità cominciano a cambiare. Il 27 aprile il Movimento 5 stelle traccia la sua linea del Piave. No alle armi offensive, tuona Conte, che riunisce i suoi e fa mettere nero su bianco che il Movimento si oppone all'invio di aiuti militari che possano travalicare il diritto di legittima difesa sancito dall'articolo 51 della Carta Onu. Un affondo che ha ampliato le divergenze sul punto con Luigi Di Maio, che da ministro degli Esteri ha firmato i decreti sull'invio delle armi in Ucraina.

La svolta pacifista di Salvini 

Nello stesso giorno, arriva la svolta pacifista di Matteo Salvini: "Troviamoci per parlare di pace, non solo di armi, l'Italia deve essere protagonista del cessate il fuoco". Da quel momento, l'asse giallo verde incalza sempre più Draghi. Conte lo vuole in Parlamento per un voto sull'indirizzo politico. Salvini lo vede e dice basta armi. Berlusconi a metà maggio usa parole che suonano di critica per l'azione della Casa Bianca e della Nato, smentendo però a stretto giro di aver voluto alimentare ambiguità. Anche in alcune aree, pur minoritarie, del PD affiorano dubbi sulla strategia del sostegno militare senza se e senza ma, nonostante Letta tenga sostanzialmente unito il partito su una linea chiara da inizio guerra. Facile immaginare che più il conflitto andrà avanti, più la coerenza politica di tutte le forze sarà ancor più messa a dura prova.

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