I finanziamenti post-pandemia di Next Generation EU sono una novità senza precedenti per la politica economica e sociale dell’Unione europea. Tale straordinarietà, però, è legata a sfide altrettanto grandi per il nostro Paese. La principale è la seguente: riusciranno le nostre autorità a spendere, nel modo più efficace possibile, gli oltre 200 miliardi di prestiti e contributi in arrivo da Bruxelles?
I dipendenti della Pubblica Amministrazione (P.A.) italiana al 1° gennaio 2021 sono 3,2 milioni, 31mila in meno rispetto all’inizio del 2020, il minimo storico degli ultimi 20 anni secondo l’ultimo Report del Forum della Pubblica Amministrazione (FPA). Secondo i più recenti dati OCSE si tratta del 13,4% dell’occupazione totale del Paese, meno della media OCSE che è pari al 17,7%. L’età media dei dipendenti è appena superiore ai 50 anni, il 16,3% ha oltre sessant’anni e soltanto il 4,2% ne ha meno di trenta.
Questa situazione, come confermato tra l’altro nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) italiano che è stato appena approvato dalla Commissione Ue, “ha contribuito a determinare un crescente disallineamento tra l’insieme delle competenze disponibili e quelle richieste dal nuovo modello economico e produttivo disegnato per le nuove generazioni (digitale, ecologico, inclusivo)”. Secondo FPA, la nostra P.A., dove mediamente si dedicano 1,2 giorni l’anno alla formazione di ogni dipendente, “è poco aggiornata ed evidenzia scarse competenze digitali e manageriali. In dieci anni la spesa in formazione nel settore pubblico si è quasi dimezzata, segnando un preoccupante -41%”.
Come interviene il PNRR su un fronte così decisivo per la stessa gestione dei fondi straordinari dell’Unione europea?
Tentare di rispondere a questa domanda è tanto più importante considerato che il nostro Paese non ha un buon “curriculum” rispetto all’utilizzo dei fondi strutturali europei. Inoltre negli ultimi tempi abbiamo speso in media 10-11 miliardi l’anno di fondi europei, mentre adesso ne dovremo impegnare oltre 200 in pochi mesi, per poterli spendere entro il 2026. In aggiunta a questo, è in atto la corsa a spendere entro la fine del 2023 anche le risorse europee (e non sono poche) messe a disposizione dal precedente ciclo programmatorio 2014-2020.
Ecco come un problema annoso rischia stavolta di ingigantirsi. Molto si è detto e scritto su questa scarsa capacità di utilizzo dei fondi comunitari, che si traduce quasi sempre in un basso impatto degli stessi sulla crescita. Per identificare le principali cause dell’attuale situazione, proviamo a utilizzare il “quadro logico” previsto nel modello del Project Circle management, un metodo di analisi che si è affermato agli inizi degli anni Novanta a partire dalla Banca Mondiale e non solo, poi adottato da numerose altre organizzazioni internazionali e dalla Commissione europea. Tale metodo prevede che da un effetto rilevato (il problema appunto: nel nostro caso, prima ancora che la bassa spesa, il basso impatto dei programmi europei gestiti dai ministeri e dalle regioni italiane) si ricavino le cause che lo hanno determinato direttamente, per poi giungere, passando per vari livelli di “cause secondarie”, a quelle che sono definite le “cause primarie”, cioè le radici del problema. Un simile esercizio permetterà in seguito di verificare se tali “cause primarie” sono prese in considerazione – in tutto o in parte - del PNRR.
L’esperienza delle precedenti programmazioni, in particolare di quella 2007-2013 e di quella appena conclusa (2014-2020), permette di individuare almeno quattro cause dirette dello scarso impatto sullo sviluppo che i fondi europei hanno storicamente avuto in Italia. Il fatto che le risorse non sono spese integralmente e il ritardo con cui le risorse sono spese, il fatto che spesso non si raggiungono i target per cui le spese erano state messe in cantiere (ipotizziamo che uno governo scelga di impegnare i fondi europei per far uscire dalla disoccupazione 20.000 NEET ma poi non riesca a far affluire i fondi verso la loro formazione e l’orientamento dei giovani o lo fa con strumenti inefficaci), infine la scarsa coerenza nell’impiego dei fondi (uno Stato, in fase di emergenza, può anche scegliere di usare il fondo europeo per sostituire un ammortizzatore sociale come la cassintegrazione, ma tale impiego non è propriamente coerente con gli obiettivi di lungo termine del fondo sociale procurando un effetto di sviamento delle risorse). Tra queste quattro cause dirette dello scorso impatto sullo sviluppo dei fondi europei in Italia, concentriamoci sulla prima che, a sua volta, applicando ancora una volta il metodo del quadro logico, è frutto di tre cause secondarie.
In Italia – per anni – non abbiamo speso tutte le risorse comunitarie a nostra disposizione, lo dobbiamo a tre motivi: una governance inefficiente a livello nazionale, alcuni limiti amministrativi della nostra P.A., un numero troppo elevato di progetti da gestire rispetto alle forze della P.A. stessa. Proviamo in questa sede a identificare ora le cause primarie di una delle cause secondare, ovvero i limiti amministrativi, che inficiano a vario titolo l’efficienza della PA nella gestione delle risorse affidate
Il PNRR riuscirà a incidere su queste cause primarie ? È proprio tentando di elaborare una strategia per superare questa sfida che il Governo Draghi e il Parlamento si sono dovuti confrontare con il tema del contesto normativo di riferimento della formazione e del livello del capitale umano nella nostra P.A. Vediamo perché.
Sovrapposizione dei regolamenti
Uno dei problemi della nostra P.A. è quello della iper-regolamentazione, la presenza di troppe regole diverse e sovrapposte fra loro. Tra le soluzioni prospettate dal PNRR vi sono la riforma delle procedure amministrative e la loro riduzione; una maggiore attenzione alla chiarezza e alla comprensibilità della normazione; l’adozione sistematica della verifica di impatto della regolamentazione; infine, la limitazione del cosiddetto “gold-plating” (cioè il vizio di appesantire con ulteriori interventi nazionali le normative già approvate a livello europeo). Il Governo ha già approvato un Decreto semplificazioni con gli interventi più urgenti, gli altri, di più ampio respiro, dovranno essere fatti attraverso leggi ordinarie e leggi delega entro la fine dell’anno., secondo un cronoprogramma condiviso con Bruxelles.
Digitalizzazione
Un punto chiave per il PNRR che alla digitalizzazione della P.A. dedica sette interventi e tre riforme per un totale complessivo di oltre 6 miliardi di euro, alle quali si aggiungono anche 1,4 miliardi di euro del Fondo Complementare al PNRR. A beneficiare di questo rafforzamento strutturale (dal potenziamento delle basi dati alle migrazioni in Cloud sicure, dall’interoperabilità delle amministrazioni locali allo sviluppo della piattaforma digitale nazionale Dati) saranno sicuramente anche gli uffici delle amministrazioni coinvolte nella governance del PNRR o nell’attuazione dei singoli interventi.
Riduzione del personale
Il problema della scarsità del personale dedicato a dare impulso a tutte le fasi del ciclo progettuale europeo non va valutato semplicisticamente in relazione ai valori assoluti, ma in relazione al numero dei progetti finanziati nel corso della programmazione. Per spiegare questa relazione si può fare ricorso a una semplice metafora, quella del “pizzaiolo”. Ipotizziamo che un pizzaiolo possa sfornare 20 pizze ogni ora; il ristoratore, di conseguenza, potrà far sedere nel suo locale circa 20 clienti per turno. Se il ristoratore si dotasse di cento posti a sedere, forse potrebbe aumentare i suoi incassi, imponendo agli avventori lunghe attese, ma poi gli stessi clienti non torneranno più nella sua pizzeria a causa del disservizio. Se il PNRR oggi è il nostro impasto, i funzionari pubblici sono assimilabili ai pizzaioli dell’esempio: se sono troppo pochi, alla fine non riusciranno a utilizzare tutto l’impasto a disposizione (le risorse europee), causando disservizi ai clienti. Bisogna dunque aumentare i funzionari dedicati alla gestione e contestualmente provare a contenere i progetti. In merito al primo aspetto, che qui interessa, attualmente, complice il blocco del turnover degli ultimi anni, la P.A. italiana soffre di un problema di relativo sottodimensionamento rispetto agli standard europei per quanto riguarda la gestione dei fondi Ue. La risposta del PNRR, su questo fronte, è positiva. Il PNRR contiene impegni piuttosto dettagliati su accesso e reclutamento, il cui si sistema dovrebbe essere riformato entro il 2021, e l’esecutivo ha già pubblicato alcuni bandi di assunzione.
Basso livello di competenze
Ma siamo sicuri sia sufficiente che i pizzaioli siano in numero adeguato? Che dire delle loro competenze? Si tratta di un aspetto altrettanto cruciale, considerata anche la carica trasformatrice e innovativa di tanti progetti associati ai fondi di Next Generation Eu. Perciò bene fa il PNRR ad affrontare il tema delle competenze e delle carriere nella P.A. Riguardo quest’ultimo punto, è lodabile l’intento di eliminare impedimenti normativi alla mobilità dei dipendenti P.A. per favorire percorsi di carriera maggiormente variegati e meritocratici. Quanto alle competenze, l’obiettivo dichiarato è quello di allineare conoscenze e capacità organizzative alle nuove esigenze del mondo del lavoro contemporaneo.
Con gli impegni sulla digitalizzazione, inoltre, non si esaurisce il capitolo “formazione” della P.A. Nei nostri uffici pubblici, infatti, a scarseggiare sono anche le competenze manageriali e i soft skill di alcuni funzionari e dirigenti. Su tale fronte, dunque, sono benvenuti l’annunciato “potenziamento” della Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA) anche “attraverso la creazione di partnership strategiche con altre Università ed enti di ricerca nazionali”, poi la predisposizione di specifici corsi online per il personale della P.A. sulle nuove competenze oggetto di intervento del PNRR, infine la creazione – per le figure dirigenziali – di specifiche “Learning Communities” tematiche per condividere buone pratiche e la risoluzione di concreti casi di amministrazione. Va in questo senso lo sforzo sulla digitalizzazione sopra ricordato, che, a differenza di altre enunciazioni del passato, è accompagnato da stanziamenti abbastanza robusti per reskilling e upskilling dei lavoratori. Inoltre, si parla di fornire un sostegno sul punto anche a 480 amministrazioni locali più piccole per modificarne il modello operativo. Meno convincente, invece, è la tempistica dell’intervento sulla formazione che dovrebbe “spalmarsi” per tutta la durata del programma, fino al 2026, mentre esso meriterebbe di essere concentrato nei tempi più brevi possibili, considerato pure che sono già noti i necessari “fabbisogni formativi” dei nostri dipendenti pubblici.
In conclusione, l’analisi del “quadro logico”, per quanto concerne l’area amministrativa, consente un giudizio complessivamente positivo sul PNRR, a condizione che le tempistiche indicate nei cronoprogrammi degli interventi menzionati non rimangano sulla carta.