A breve si deciderà il destino del sistema con cui andiamo a votare. La spinta per tornare al modello della Prima Repubblica è forte. Ma la battaglia per il maggioritario fu una svolta nel Paese. L'unico obiettivo di una legge elettorale deve essere la governabilità
Quella del ritorno al proporzionale è una spinta fortissima, che cancellerebbe il bipolarismo tanto auspicato, cercato, voluto con cui si sancì l’inizio della Seconda Repubblica. Un ritorno al passato, come l’ha definito sul Sole 24 Ore il professor Roberto D’Alimonte, che l’ha criticato duramente. Può un Paese guardare indietro? E può farlo su un tema così delicato e centrale? Molti spiegano questa retromarcia con la presunta fotografia attuale del Paese: la frammentazione spinge a dover trovare un sistema che rappresenti di più l’Italia del 2020. Se così fosse, però, dovremmo stabilire un’alternanza di leggi elettorali che si verificasse ogni tot (cosa che peraltro è già accaduta fin troppo spesso), come fosse la conseguenza di una ricerca di mercato.
La legge elettorale, invece, è la regola del gioco. La vera regola. E, in definitiva, la più importante, perché stabilisce un contratto morale con l’elettore che deve sapere cosa ne sarà della sua scelta nelle urne. Per questo in una democrazia matura la legge elettorale non si piega alla politica, ma è la politica che si piega ad essa. Il suo unico obiettivo è la governabilità. Perché da questa discendono la stabilità, la crescita economica e, quindi, il benessere dei cittadini.
Abbiamo inseguito per anni il futuro, non cadiamo nella tentazione di rifugiarci nel passato. Il maggioritario è stato una battaglia, molti degli attuali protagonisti della politica, anzi tutti, sono cresciuti con l’idea di un Paese bipolare. Sono tutti figli del referendum Segni del 1991, che ottenne il 95% dei consensi. Perché ora sono tentati dal tornare in un territorio che in realtà non conoscono? Questa è materia di cultura e scienza della politica, non di interesse immediato legato al voto prossimo futuro. Non può essere così, salvo non attribuire alla nostra Repubblica sembianze grottesche. Il Paese è cambiato, la politica è cambiata, l’elettore è cambiato. Il proporzionale apparteneva a un’era con altri partiti, altri leader e altri cittadini. Un’altra epoca.Il maggioritario in questi anni è entrato nella testa dei cittadini e bisognerebbe pensarci molto bene prima di cancellarlo. Si dirà: ma la Germania è il Paese meglio governato d’Europa e adotta il proporzionale. Però questo non è il motivo del suo buon funzionamento, che sta invece nella cultura politica del Paese, e lo dimostra il fatto che dal dopoguerra a oggi la Germania non ha mai cambiato sistema. Così come peraltro è accaduto in tutti gli altri Paesi europei più importanti e negli Stati Uniti: non si cambia la legge elettorale pensando che questa aiuti a trovare risposte che la politica non trova.
L’Italia ha sporcato il suo bipolarismo, con varie giravolte dei partiti che oggi decideranno del suo destino. Il paradosso è che, chi per vocazione, nascita, cultura o rottura con il sistema partitocratico è sempre stato propendente per il maggioritario, oggi spinge per il ritorno al proporzionale, chi invece un tempo era ostile, oggi abbraccia il maggioritario. Perlopiù dipende dalla percentuale di consenso e ciò fa pensare. Così come fa pensare l’assenza dal dibattito dei campioni del maggioritario che si sono rarefatti. Nonostante ciò, il bipolarismo ha resistito, ammaccato. Adesso, però, la politica sembra pronta alla spallata, dimenticando che, pur non avendo forse ancora raggiunto la maturità alle politiche, è stato determinante per la gran parte delle elezioni territoriali: la legge per l’elezione diretta dei sindaci funziona da 27 anni, ha garantito governabilità, alternanza e rappresentanza. E funziona in realtà in cui la complessità non è certo inferiore a quella dell’attuale assetto parlamentare, tra liste civiche, movimenti vari, personalizzazione della politica.
Da oggi e per una settimana SkyTg24 ogni mattina (oggi alle 11, da domani invece alle 10) approfondirà il tema con uno speciale, “La regola del gioco”. Costituzionalisti, politologi, storici, economisti, imprenditori, analisti si confronteranno sul tema. Niente parlamentari in carica, perché vogliamo affrontare la questione sui princìpi e non cadere nella logica del “che cosa conviene a chi”. Vogliamo parlare di futuro, di governabilità, di stabilità, di crescita. Di un’idea di Paese. Chi vince o chi perde in questa partita a livello parlamentare è ininfluente. La vittoria o la sconfitta in politica è solo la conseguenza del voto di un elettore.