Il confronto, il Pd e i dolori del prossimo segretario

Politica

Massimo Leoni

L'unica occasione per vederli insieme. Vengono dalla stessa famiglia, e si vede. Ma qualcuno minaccia di lasciarla. Chiunque vinca, ha un compito difficile

Impressioni sul confronto tra i candidati alla segreteria del PD.

Innanzitutto, bene che abbiano deciso di farlo e molto bene che Skytg24 abbia confermato la sua capacità di organizzazione e di persuasione. Non era facile, l’accordo è stato trovato in extremis, le riunioni che – sempre - precedono questo tipo di eventi, non sempre sono state distese. Evidentemente abbiamo confermato nei tre l’idea che avrebbero trovato un ambiente ideale per confrontarsi, senza vantaggi per nessuno. E, forse, con un vantaggio per il Pd e le primarie: i riflettori sono stati puntati per tutta la giornata sui dem e sull’evento di domenica. Credo non sia esagerato dire che quei riflettori porteranno qualche persona in più ai gazebo. Dal punto di vista dei candidati e del Pd, evitare il confronto sarebbe stato un errore grossolano.

Poi. Si vede e si sente che i tre vengono dalla stessa famiglia. C’è voluta la bravura e la tigna di Fabio Vitale per fargli tirare fuori qualche differenza. Una in particolare, importante. Riguarda Giachetti. Dice chiaramente che se le cose non vanno in un certo modo (lui e Anna Ascani non vincono) e vanno in un altro (chi vince apre ad un dialogo con i Cinquestelle e facilita la reunion con gli scissionisti), lui se ne va dal partito. Zingaretti e Martina dicono che queste possibilità non ci sono. Che forse è fuori luogo annunciare una possibile uscita, da chi si candida alla guida del partito. Ma lui ribadisce. E’ in quel momento, uno dei più interessanti dell’intero confronto, che si capisce chiaramente quanto sia presente Matteo Renzi. Che ha ritenuto – e continua a ritenere, probabilmente ricambiato – che i suoi peggiori nemici siano appunto i bersaniani e i Cinquestelle. E che forse – forse - sull’uscita dal Pd ha idee sovrapponibili a quelle di Giachetti. Insomma: chi si sbraccia a dire che bisogna finirla con renziani e antirenziani, chi dice – anche Zingaretti, con feroce bonomìa – che Renzi deve restare perché è una risorsa importante (nel senso che è una delle risorse importanti), è avvertito: saranno entrambi obiettivi difficili da raggiungere.  

Altre cose che ho visto. Anzi, che non ho visto. Non ho visto un leader. Almeno, non ancora. È vero che i ruoli cambiano le persone. Però Martina ha già fatto il segretario, seppur in condizioni particolari. Giachetti è politico navigato e in tanti anni non ha mai incarnato una leadership. Il più coperto, da questo punto di vista, è Zingaretti. La sua immagine resta la meno coinvolta nelle lotte fratricide del Nazareno. Una carriera costruita di lato, quasi sempre. Forse il segno che quello della segreteria è obiettivo prefigurato da tempo. Comunque: diventare il leader di un partito che vuole – di nuovo, pare – essere “non personale” è impresa molto difficile. Aiuterebbe chiudere la questione con una investitura popolare, la più ampia possibile, sia in termini di voti che di votanti. Un’elezione al congresso con il voto dei delegati aprirebbe la porta ad un’altra stagione difficile, all’interno e all’esterno, con le elezioni europee alle porte.

Ultima riflessione. Una buona affluenza alle primarie (diciamo superiore al milione di elettori simpatizzanti) non significa necessariamente che il PD sia rinato e competitivo. Sarebbe un segnale in continuità con le regionali in Abruzzo e in Sardegna: che esiste, cioè, una domanda di sinistra, di centrosinistra, di alternativa al governo e alle destre. Ma il Pd è l’offerta. Un‘offerta e un marchio che il mercato (e quelle elezioni) non hanno premiato. Il segretario, chiunque sia, avrà tanto lavoro da fare.  

Consigli per l'ascolto: "Family Man", Daryl Hall & John Oates

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