Guido Rossa, la storia dell'operaio che denunciò le Brigate Rosse

Politica

Andrea Maggiore

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Sono passati 40 anni esatti dall'omicidio del sindacalista e militante del Pci genovese Guido Rossa, ucciso il 24 gennaio del 1979 in un agguato delle Brigate rosse perché accusato di aver fatto la spia dopo aver denunciato un fiancheggiatore brigatista dell'Italsider

Un martire rosso ucciso da quelli che per qualche tempo furono bollati come "compagni che sbagliano". L'omicidio di Guido Rossa, l'operaio di 44 anni dell'Italsider di Genova sindacalista della Fiom con la tessera del Partito comunista in tasca, freddato in un agguato il 24 gennaio del 1979 dalla colonna genovese delle Brigate rosse perché accusato di essere una spia "infame" per aver denunciato il "postino" delle Br Francesco Berardi, beccato mentre nascondeva volantini con la stella a cinque punte dietro ad un distributore di bevande.

La denuncia di Rossa alla magistratura

La denuncia di Rossa alla magistratura fece scattare la sua sentenza di morte comminata dal commando brigatista che venne eseguita dal capo della colonna Riccardo "Pol Pot" Dura, che tornò indietro per dare il colpo di grazia al sindacalista che era stato ferito solo alle gambe: "gambizzato", come si diceva con un lugubre neologismo coniato proprio in quegli anni. Piombo che per la prima volta colpiva a morte un militante sindacale e comunista e non un "nemico di classe". Uno spartiacque nella vicenda dei comunisti italiani di quegli anni in cui - come scrisse Rossana Rossanda - si poteva riconoscere nel nuovo linguaggio delle Br l'album di famiglia della sinistra. Perché le pallottole che misero fine alla vita di Guido Rossa contribuirono a schierare le fabbriche e la classe operaia definitivamente nella difesa della democrazia repubblicana contro la minaccia terroristica. Ad un anno dall'uccisione di Aldo Moro recluso davanti al "tribunale del popolo", un altro popolo di 250 mila persone insieme al presidente della Repubblica - il partigiano socialista Sandro Pertini - fece capire al funerale di Guido Rossa che la linea del Piave contro il terrore rosso era segnata.

La tesi dell'isolamento 

Il segretario generale della Cgil Luciano Lama gridò che il sindacalista "era stato lasciato solo". Ma i delegati sindacali del Consiglio di fabbrica, soprattutto quelli che furono più vicini a Rossa, hanno sempre smentito la tesi dell'isolamento del compagno ucciso dalle Br. Guido Rossa non è mai stato abbandonato a se stesso - hanno spiegato a Paolo Andruccioli - autore del libro "Un testimone, omicidio di un sindacalista".  I delegati del Consiglio, dopo la denuncia, organizzarono infatti una scorta informale per proteggere Rossa. Non fu sufficiente per salvare la vita al sindacalista che denunciò le Br e che con la sua morte strappò quel ritratto familiare della sinistra in cui non c'era più posto per i "compagni che sbagliano".

Le sorti del commando che uccise il sindacalista

I tre componenti del commando terrorista che assassinò Guido Rossa hanno avuto destini diversi. Riccardo Dura fu ucciso poco più di un anno dopo, durante un blitz dei carabinieri. Vincenzo Guagliardo ha scontato la sua pena dopo l'arresto. Lorenzo Carpi, l'autista del gruppo di fuoco, è latitante da 40 anni. Di lui si sono praticamente perse le tracce. Mentre la memoria di Guido Rossa continua a vivere e a rappresentare un esempio per chi ha a cuore le sorti della democrazia.

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