Quello che Tria non dice (ai giornalisti)

Politica

Massimo Leoni

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L'Europa non vuole lo scontro. Forse non serve cambiare la manovra, basterebbe un segnale. Ma quelli dati finora non bastano

Le polemiche interne alla coalizione su decreto sicurezza e prescrizione hanno messo in un cono d’ombra la manovra economica, l’Ecofin e Giovanni Tria. Pare sia tornato da Bruxelles, il ministro, in silenzio con i giornalisti ma con tante cose da dire a Conte, Di Maio e Salvini. Pare che, al di là delle parole dei ministri dell’economia, in particolare di quelli dell’area euro, l’Europa non veda l’ora di deporre le armi. Basterebbe un segno di buona volontà. Qualche numero, oltre la determinazione a “spiegare la manovra” che – secondo quanto dicono ogni giorno i tre di palazzo Chigi – l’Europa non capisce, o non ha ancora capito. Bruxelles, invece, cerca disperatamente un motivo per evitare la procedura d’infrazione, lo strappo con l’Italia. Forse è questo che Tria non può dire ai giornalisti. Ma che deve riferire a palazzo, se solo potesse incontrare i suoi interlocutori più alti in grado. Invece, lui è in fila. Prima della manovra e dei rapporti con l’Europa c’è il decreto sicurezza, la riforma del regime della prescrizione, la Champions league, la riunione di preparazione del vertice di Palermo sul futuro della Libia. “C’è un disaccordo”, ha detto Tria la mattina dell’Ecofin, il giorno dopo l’Eurogruppo. Affermazione di fatto. Tria ascolta, registra. Avrebbe ammesso, con i colleghi, di aver scritto la manovra più da politico che da economista. Ma non può risolvere, il ministro. Magari vorrebbe, chissà.

Per risolvere deve capire se qualcosa è cambiato a Palazzo. Se gli equilibri tra i dialoganti e l’ala dura del 2,4% siano cambiati dopo il dl sicurezza, la prescrizione e la Champions league. E per capirlo, deve vedere i leader. Non c’è molto tempo. L’Europa aspetta un segno per il 13 novembre. Forse non un cambiamento rilevante della manovra, come dice Dombrovskis. Ma un segno, quello sì. La vita di Tria è complicata. Tanto che venerdì prossimo sarà in commissione bilancio alla camera a spiegare (ancora!) la manovra. E poi riceve la visita di Mario Centeno, portoghese presidente dell’eurogruppo. Probabilmente una sorta di tagliando sulle possibilità che il segno arrivi.

Al momento, il governo (cioè Conte, Salvini e Di Maio) quel segnale pensa di averlo già dato. E cioè: la riduzione delle spese se il pil non segue la dinamica prevista. Se, a un certo punto del 2018, si capisce che la crescita del pil non si avvicina neanche all’1,5%, si rivede tutto: reddito di cittadinanza, pensioni a quota 100. Forse in parti uguali. Piace, basta all’Europa? Non si direbbe. Innanzitutto perché, ancora prima delle parole di Conte, il concetto è stato scritto nero su bianco nella lettera di risposta italiana ai primi rilievi di Bruxelles sulla manovra. Aggiungo una cosa. Se si taglia la spesa pubblica quando il pil è in discesa, trattasi di manovra pro-ciclica. Un altro schiaffo a buona parte (quasi tutta) la teoria economica. Che consiglia caldamente di aumentare la spesa quando il pil flette. E diminuirla quando sale. Anche se, a dire la verità, da Bruxelles hanno spesso, drammaticamente, preteso il contrario.  

Consigli per l’ascolto: “Sweet Dreams”, Eurythmics

  

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