Il governatore della Puglia interviene dopo la pubblicazione dell'audio di una telefonata nella quale rideva di un reporter che faceva domande sui tumori: "Intercettazione estratta dal giusto contesto, stavo lavorando per salvare posti di lavoro"
"Non permetterò mai a nessuno di sollevare dubbi sulla mia onestà e di manipolare in modo volgare e strumentale la realtà. L'unica cosa di cui mi vergogno davvero è di aver riso in quel modo di un giornalista che faceva il suo mestiere, e a cui chiedo scusa". Nichi Vendola risponde così, con un post su Facebook, al vespaio di polemiche nato dopo la pubblicazione sul sito del Fatto Quotidiano dell'audio di una telefonata del 2010 nel corso della quale il governatore della Puglia rideva per come era stato trattato un giornalista che chiedeva a Girolamo Archinà, portavoce dell'Ilva, cosa ne pensasse dei morti per tumore a Taranto causati dal siderurgico.
Vendola: "Telefonata va inserita in un contesto complesso" - Vendola ha ribadito la sua posizione nel corso di una conferenza stampa a Bari, in cui la maggioranza del consiglio regionale gli ha espresso la piena fiducia. "Penso che non si possa sopportare un'operazione di sciacallaggio come quella tesa a rappresentare una telefonata, una tra le migliaia di telefonate, il cui oggetto era riagganciare i rapporti con l'ambasciatore dell'Ilva, cioè con quel Girolamo Archinà che nel corso degli anni è stato il punto di riferimento della interlocuzione esattamente su questi temi". "La telefonata va contestualizzata - ha ribadito il presidente - e il contesto di quei giorni era incandescente e complesso, era un contesto in cui, accanto alla battaglia per la difesa del posto dei lavoratori somministrati, non volevamo perdere l'appuntamento con l'abbattimento delle emissioni di benzo(a)pirene. Da questo punto di vista i nostri atti amministrativi sono un repertorio di documenti che non consentono dubbio alcuno sulla volontà di dare scacco matto a chiunque pensasse di continuare, con la furbizia, a gestire una centrale di inquinamento in una città come Taranto".
Vendola: "Difendere posti di lavoro non è oggetto di vergogna" - "Molti dimenticano che stiamo parlando di oltre 20mila famiglie che campano su Ilva e indotto. Per me difendere i posti di lavoro non è una cosa da considerare oggetto di vergogna. Io sono orgoglioso di aver difeso ogni giorno, ogni singolo posto di lavoro naturalmente cercando di porre tutte le aziende di fronte al loro dovere di ambientalizzare gli impianti" ha ribadito Vendola.
"Dare speranza alla città di Taranto - ha spiegato - ha significato tenere in equilibrio due questioni. La prima, mettere in agenda l'appuntamento con il diritto alla vita e alla salute lungamente negato, anche con gravi complicità e gravi silenzi, in un clima di decenni e decenni di omertà generale e quindi, contemporaneamente, cominciare a mettere limiti drastici alle grandi ciminiere e fare i conti con gli effetti dell'inquinamento industriale sulla salute dei cittadini. La seconda, garantire l'esercizio del diritto al lavoro. La nostra opinione, forse opinabile sul piano politico - ha continuato - non può costituire un reato o un crimine. La nostra opinione è che non si può risolvere la questione dell'inquinamento industriale con la chiusura del siderurgico. Questo abbiamo pensato nel corso degli anni, anche alla luce di altre esperienze che ci erano note come quella di Bagnoli".
Vendola: "Telefonata va inserita in un contesto complesso" - Vendola ha ribadito la sua posizione nel corso di una conferenza stampa a Bari, in cui la maggioranza del consiglio regionale gli ha espresso la piena fiducia. "Penso che non si possa sopportare un'operazione di sciacallaggio come quella tesa a rappresentare una telefonata, una tra le migliaia di telefonate, il cui oggetto era riagganciare i rapporti con l'ambasciatore dell'Ilva, cioè con quel Girolamo Archinà che nel corso degli anni è stato il punto di riferimento della interlocuzione esattamente su questi temi". "La telefonata va contestualizzata - ha ribadito il presidente - e il contesto di quei giorni era incandescente e complesso, era un contesto in cui, accanto alla battaglia per la difesa del posto dei lavoratori somministrati, non volevamo perdere l'appuntamento con l'abbattimento delle emissioni di benzo(a)pirene. Da questo punto di vista i nostri atti amministrativi sono un repertorio di documenti che non consentono dubbio alcuno sulla volontà di dare scacco matto a chiunque pensasse di continuare, con la furbizia, a gestire una centrale di inquinamento in una città come Taranto".
Vendola: "Difendere posti di lavoro non è oggetto di vergogna" - "Molti dimenticano che stiamo parlando di oltre 20mila famiglie che campano su Ilva e indotto. Per me difendere i posti di lavoro non è una cosa da considerare oggetto di vergogna. Io sono orgoglioso di aver difeso ogni giorno, ogni singolo posto di lavoro naturalmente cercando di porre tutte le aziende di fronte al loro dovere di ambientalizzare gli impianti" ha ribadito Vendola.
"Dare speranza alla città di Taranto - ha spiegato - ha significato tenere in equilibrio due questioni. La prima, mettere in agenda l'appuntamento con il diritto alla vita e alla salute lungamente negato, anche con gravi complicità e gravi silenzi, in un clima di decenni e decenni di omertà generale e quindi, contemporaneamente, cominciare a mettere limiti drastici alle grandi ciminiere e fare i conti con gli effetti dell'inquinamento industriale sulla salute dei cittadini. La seconda, garantire l'esercizio del diritto al lavoro. La nostra opinione, forse opinabile sul piano politico - ha continuato - non può costituire un reato o un crimine. La nostra opinione è che non si può risolvere la questione dell'inquinamento industriale con la chiusura del siderurgico. Questo abbiamo pensato nel corso degli anni, anche alla luce di altre esperienze che ci erano note come quella di Bagnoli".