Il centrosinistra vince la partita della presidenza delle Camere e spera nell'incarico di governo a Bersani. Ma per avere la fiducia al Senato, deve contare su una spaccatura tra i grillini, che si sono divisi nel voto sull'ex procuratore antimafia
Pietro Grasso al Senato, Laura Boldrini alla Camera. Il rebus delle Presidenze dei due rami del Parlamento nella diciassettesima legislatura si risolve con due punti a favore della coalizione di centrosinistra. E con l'elezione di Boldrini e Grasso, nel Pd in molti sono ora convinti che si rafforzino le chance di Pier Luigi Bersani di ottenere l'incarico per formare un governo. Certo, per riuscirci dovrà prima chiudere un'intesa con Mario Monti. Ma soprattutto sperare che la crepa apertasi nel M5S, con una dozzina di 'grillini' che votano il candidato del Pd contro le direttive del Movimento (seconda vera notizia della giornata), non si rimargini troppo in fretta.
Ad oggi, però, Bersani ha ben diritto di festeggiare. Grasso e Boldrini non sono nomi targati Pd: il primo è un indipendente, reso celebre per la lotta alla mafia. La seconda, eletta con Sel, è famosa più per essere portavoce dell'Alto commissariato Onu per i Rifugiati che per le simpatie politiche. Un ticket che Bersani riesce a tenere nascosto fino all'ultimo e che pare fatto apposta per dimostrare che il partito non è chiuso in se stesso. Vi si può leggere persino una 'sfida' a Grillo: un modo per dire che il Pd è pronto a mettere sulle poltrone più ambite esponenti della società civile. La strada per il governo per Bersani resta stretta, ma è certamente un po' più larga di prima. Passa però per un riavvicinamento alla pattuglia di Monti, determinante per avere la fiducia a palazzo Madama. I rapporti fra democratici e il premier uscente non sono certo buoni. E il tentativo (fallito) del professore di autocandidarsi al Senato, fermato da Napolitano, li ha soltanto peggiorati. Per non parlare del rifiuto di Monti di candidare un suo esponente a Montecitorio, in cambio del sostegno ad un 'piddino' al Senato. Un 'no' che ha aperto la strada all'intesa Bersani-Vendola sul tandem Boldrini-Grasso.
E ora Bersani può rivendicare - anche agli occhi attenti del Colle - di avere i numeri anche a palazzo Madama, grazie alla spaccatura della pattuglia grillina. Spinti dai senatori siciliani, una dozzina di eletti M5S sceglie di votare il procuratore antimafia, infischiandosene delle direttive del capogruppo: "Scheda bianca o nulla". A pesare sulla scelta dei frondisti (le cui identità sono coperte dal segreto dell'urna) il timore di veder eletto Renato Schifani, spinto al ballottaggio dal voto compatto di Pdl e Lega. Ora spetterà a Grillo decidere come reagire di fronte alla crepa apertasi nel suo movimento: chiudendo un occhio sulla violazione del vincolo di mandato o stroncando sul nascere la fronda, con il rischio di perdere senatori e consensi.
L'altro sconfitto della giornata è Monti. Dopo il fiasco di venerdì, il professore si lascia corteggiare per l'intera giornata dal Pdl. Ambasciatori berlusconiani lo pressano per farlo convergere sul nome di Schifani. Lo stesso professore avvia contatti riservati (pare non diretti) con Berlusconi. Ma alla fine capisce che la strada è senza uscita e opta per la scheda bianca, mandando su tutte le furie Berlusconi che lo accusa di assoluta irrilevanza. Il professore gioca però su più tavoli. Sente Bersani al telefono, rafforzando i sospetti di chi, soprattutto nel Pdl, dà per scontato il suo appoggio ad un governo (di minoranza) Bersani. Ipotesi prematura, assicurano i montiani, anche se dentro Scelta Civica il timore di tornare al voto è palpabile. Ma oltre a Monti, per formare un governo, Bersani avrà bisogno anche delle divisioni interne ai grillini. Al momento niente affatto scontate.
Ad oggi, però, Bersani ha ben diritto di festeggiare. Grasso e Boldrini non sono nomi targati Pd: il primo è un indipendente, reso celebre per la lotta alla mafia. La seconda, eletta con Sel, è famosa più per essere portavoce dell'Alto commissariato Onu per i Rifugiati che per le simpatie politiche. Un ticket che Bersani riesce a tenere nascosto fino all'ultimo e che pare fatto apposta per dimostrare che il partito non è chiuso in se stesso. Vi si può leggere persino una 'sfida' a Grillo: un modo per dire che il Pd è pronto a mettere sulle poltrone più ambite esponenti della società civile. La strada per il governo per Bersani resta stretta, ma è certamente un po' più larga di prima. Passa però per un riavvicinamento alla pattuglia di Monti, determinante per avere la fiducia a palazzo Madama. I rapporti fra democratici e il premier uscente non sono certo buoni. E il tentativo (fallito) del professore di autocandidarsi al Senato, fermato da Napolitano, li ha soltanto peggiorati. Per non parlare del rifiuto di Monti di candidare un suo esponente a Montecitorio, in cambio del sostegno ad un 'piddino' al Senato. Un 'no' che ha aperto la strada all'intesa Bersani-Vendola sul tandem Boldrini-Grasso.
E ora Bersani può rivendicare - anche agli occhi attenti del Colle - di avere i numeri anche a palazzo Madama, grazie alla spaccatura della pattuglia grillina. Spinti dai senatori siciliani, una dozzina di eletti M5S sceglie di votare il procuratore antimafia, infischiandosene delle direttive del capogruppo: "Scheda bianca o nulla". A pesare sulla scelta dei frondisti (le cui identità sono coperte dal segreto dell'urna) il timore di veder eletto Renato Schifani, spinto al ballottaggio dal voto compatto di Pdl e Lega. Ora spetterà a Grillo decidere come reagire di fronte alla crepa apertasi nel suo movimento: chiudendo un occhio sulla violazione del vincolo di mandato o stroncando sul nascere la fronda, con il rischio di perdere senatori e consensi.
L'altro sconfitto della giornata è Monti. Dopo il fiasco di venerdì, il professore si lascia corteggiare per l'intera giornata dal Pdl. Ambasciatori berlusconiani lo pressano per farlo convergere sul nome di Schifani. Lo stesso professore avvia contatti riservati (pare non diretti) con Berlusconi. Ma alla fine capisce che la strada è senza uscita e opta per la scheda bianca, mandando su tutte le furie Berlusconi che lo accusa di assoluta irrilevanza. Il professore gioca però su più tavoli. Sente Bersani al telefono, rafforzando i sospetti di chi, soprattutto nel Pdl, dà per scontato il suo appoggio ad un governo (di minoranza) Bersani. Ipotesi prematura, assicurano i montiani, anche se dentro Scelta Civica il timore di tornare al voto è palpabile. Ma oltre a Monti, per formare un governo, Bersani avrà bisogno anche delle divisioni interne ai grillini. Al momento niente affatto scontate.