Consulta dà ragione al Colle. Ingroia: "Ragioni politiche"

Politica

L'ex pm di Palermo, ora in Guatemala, si dice amareggiato e commenta la decisione della Corte Costituzionale sulla questione delle intercettazioni: "Noi abbiamo sempre agito nella legalità e per difendere la riservatezza del Colle"

Il giorno dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha dato ragione al Colle nella questione delle intercettazioni tra Nicola Mancino e il Quirinale il pm Antonio Ingroia si dice "amareggiato" e parla di una sentenza politica. Con due interviste rilasciate a Repubblica e Corriere della Sera (guarda la rassegna stampa) il magistrato, ora in Guatemala dove dirige un'unità investigativa per la lotta al narcotraffico, ma fino a pochi mesi fa in forze alla procura del capoluogo siciliano, ribadisce che "i magistrati della Procura di Palermo hanno sempre rispettato la legge, ma abbiamo avuto un trattamento che non meritavamo".

Ingroia: "Ci siamo preoccupati della riservatezza del Colle"
- Parlando con il Corriere della Sera Ingroia spiega che "se noi avessimo fatto quello che oggi sostiene la Corte, e cioè trasmettere le telefonate al giudice chiedendo la distruzione delle conversazioni senza contraddittorio con le parti, il giudice avrebbe ordinato il deposito e il contraddittorio con tutte le parti del procedimento, facendole inevitamlmente diventare pubbliche." Insomma, secondo il magistrato siciliano "noi non abbiamo preso quella strada, preoccupandoci di preservare al massimo la riservatezza delle conversazioni del presidente. E questa è la ricompensa". "Siamo cornuti e mazziati per usare termini meno giuridici e più popolari - si sfoga Ingroia - Noi abbiamo fatto di tutto perché di quelle intercettazioni non uscisse nemmeno una riga, e infatti non è uscita nemmeno una riga. Proprio perché avevamo a cuore la riservatezza delle conversazioni del presidente"

Ingroia: "Ragioni politiche" - Un risentimento, quello di Ingroia, che lo spinge anche ad affermare che "devo ricredermi su quanto pensai quest'estate leggendo le considerazioni di Gustavo Zagrebelsky, il quale riteneva che la sentenza dei suoi ex colleghi della Consulta fosse già scritta. Credevo che esagerasse, invece aveva ragione: per ragioni politiche prima ancora che giuridiche, non c'era altra via d'uscita che dare ragione al presidente della Repubblica". "Il comunicato emesso - aggiunge Ingroia - dà la sensazione di una sentenza che risente anche del condizionamento del clima politico."

Sabelli (Anm): "Non si commentano sentenze" - Il presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, Rodolfo Sabelli, getta invece acqua sul fuoco delle polemiche. "Non si commentano le sentenze soprattutto quando ancora non sono note le disposizioni" sottolinea Sabelli intervenuto al programma di Radio1 'Prima di tutto', "ancora un caso di conflitto di poteri, di conflitto in termini tecnico- processuali. Bisogna smorzare il possibile valore politico, ma del resto anche in passato ho detto che il ricorso del capo dello Stato non era un ricorso in contrasto o contro la Procura di Palermo".  "Del resto - continua Sabelli - tutta la materia della gestione dei risultati dell'attività di intercettazione è materia estremamente complessa. Si discuteva delle forme e dei modi attraverso i quali si doveva arrivare alla discussione di queste intercettazioni".

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