Niente elezioni per le "nuove" province

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Come ente locale continuano ad esistere, ma non si eleggono più. I membri saranno scelti dai consiglieri comunali e non più dai cittadini. La novità tocca anche le 6 amministrazioni in cui si sarebbe dovuto votare a maggio. Incognita in Sicilia e Sardegna

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di Serenella Mattera

Le province non sono state cancellate. Ma le elezioni provinciali non esistono più. Almeno, non come le conoscevamo. Niente più manifesti e santini con la faccia del candidato presidente, niente più comizi, niente più lenzuolate di schede da compilare nel segreto dell’urna. Il governo Monti ha deciso che d’ora in poi non saranno più i cittadini, ma i consiglieri comunali e i sindaci a scegliere (pochi) consiglieri e un presidente per il governo del territorio provinciale. E così, mentre l’Unione delle province italiane (Upi) già annuncia battaglia, nessuna provincia (o quasi) andrà al voto in primavera.

Le amministrative 2012 – Un decreto firmato dal ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri fissa la data delle elezioni al 6 e 7 maggio (con eventuale ballottaggio il 20 e 21 maggio). Andranno al voto circa nove milioni di elettori in 994 comuni italiani. Niente urne, però, nelle sei province che quest’anno avrebbero dovuto rinnovare i loro organi: Como, Belluno, Vicenza, Genova, La Spezia e Ancona. Il decreto ‘Salva Italia’, varato a dicembre, ha infatti trasformato l’ente intermedio tra Comune e Regione in “ente di secondo livello”. Non eletto, cioè, direttamente dai cittadini.
Ma non è ancora chiaro cosa accadrà a Caltanissetta, Ragusa e Cagliari. Sicilia e Sardegna sono infatti regioni a statuto speciale e decidono perciò autonomamente sul destino delle loro province, anche se, secondo il Viminale, dovrebbero adeguare entro sei mesi la propria normativa a quella prevista dal ‘Salva Italia’.

Sicilia e Sardegna -
La Sicilia ha chiamato le province alle urne a maggio, assieme ai comuni. Ma in contemporanea sta discutendo due proposte di legge: una per recepire integralmente il ‘Salva Italia’, un'altra per sopprimere le attuali province trasformandole in liberi consorzi. Ma non è detto che una decisione arrivi prima del 6 maggio. E’ probabile dunque che a Caltanissetta e Ragusa si voti ancora alla vecchia maniera.
Più incerta la situazione in Sardegna. La Regione non ha infatti ancora fissato le elezioni. Inoltre, la provincia di Cagliari è retta dall’ex vicepresidente Angela Quaquero, da quando a dicembre il presidente Graziano Milia è decaduto dopo una condanna in via definitiva: una proposta presentata in Regione fissa la scadenza dell’amministrazione al 2015, ma non è ancora escluso un commissariamento dell’ente dopo l’addio del presidente eletto e il ritorno alle urne. Il 10 giugno, però, in Sardegna si svolgerà un referendum con dieci quesiti, uno dei quali prevede l’abolizione delle province. Insomma, ancora tutto da definire.

Le nuove regole – Intanto, venerdì notte, al termine di un lungo Consiglio dei ministri, il governo ha dato il primo ok al disegno di legge che riforma il sistema di elezione delle province. Questa settimana il testo sarà esaminato dalla Conferenza unificata, poi tornerà in Cdm, per il via libera definitivo.
La riforma prevede che d’ora in poi siano i consiglieri comunali a eleggere presidente e consiglio provinciale, con un sistema proporzionale, tra liste concorrenti in cui sia garantita la presenza delle donne. Gli organi provinciali saranno decisamente sfoltiti: la giunta, e con essa gli assessori, cesseranno di esistere, mentre i consiglieri saranno 16 per i territori con più di 700 mila abitanti, 12 per quelli con popolazione tra i 300 mila e i 700 mila e dieci per quelli al di sotto dei 300 mila. Ma c’è di più. Le elezioni, che saranno di volta in volta fissate in una domenica diversa rispetto a quella delle comunali, coinvolgeranno solo sindaci e consiglieri: non solo saranno gli unici ad avere diritto di voto, ma saranno anche gli unici a potersi candidare in liste cui saranno abbinati gli aspiranti presidenti.
Il governo sottolinea come questa riforma del sistema di voto porterà un risparmio di circa 118 mila euro per lo Stato e di circa 120 mila euro per le Province.

La protesta dell’Upi – “Ci pare si sia di fronte all’ennesimo pasticcio”, è il commento al vetriolo del presidente dell’Upi e presidente della provincia di Catania, Giuseppe Castiglione (Pdl). Che definisce la trasformazione delle province in enti di secondo livello un percorso “inattuabile, che va cambiato perché non porta risparmi, non risolve il problema della necessità di una vera riforma delle istituzioni territoriali e soprattutto interviene con norme anticostituzionali”.
Il vicepresidente dell’Upi e presidente della provincia di Torino Antonio Saitta (Pd), fa sapere che “il 18 aprile a Milano tutti i tremila eletti delle province si riuniranno in una manifestazione contro i nominati della politica” e contro il nuovo sistema di voto. Ma intanto l’Upi ha consegnato alla Camera una sua proposta di riforma degli enti locali, perché venga recepita come emendamento al decreto Semplificazioni. Il testo prevede l’istituzione delle dieci città metropolitane, la razionalizzazione e riduzione delle province e il conseguente accorpamento degli uffici territoriali del governo, nonché l’eliminazione di tutti gli enti o le agenzie statali, regionali e degli enti locali. Con un risparmio a regime, stima l'Upi, di 5 miliardi di euro.

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