Cambia il "vento" elettorale, ma il Pd torna a dividersi

Politica
Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani discute con l'ex segretario Walter Veltroni in Aula alla Camera
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Alla ripresa dell'attività parlamentare dopo il successo delle urne, il partito di Bersani perde compattezza e mostra nuove spaccature. Dalle Province alla Tav, dal biotestamento alla legge elettorale. Ci si batte tra democrat anche a colpi di referendum

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Il giorno dopo, il Partito democratico si risveglia con gli stessi vecchi problemi. Sarà pure “cambiato il vento” elettorale, come sancito da amministrative e referendum. Ma dentro il Pd, passato il momento delle urne e della salda compattezza esibita per raggiungere il comune risultato, ci si torna a dividere. Dalla legge elettorale alla Tav, dalle province al biotestamento, riecco i distinguo, le spaccature, le riunioni fiume e i conciliaboli segreti, nonché gli appelli (disattesi) all’unità e l’ormai classico “non facciamoci del male”.

E così, mentre il governo e la maggioranza affrontano mille difficoltà, anche nella quotidiana attività parlamentare del Pd ritornano i travagli. A dare l’impressione, con buona pace del segretario Pier Luigi Bersani, che se fuori spira un “vento nuovo”, dentro al partito in fondo non è cambiato così tanto.

Legge elettorale –
Due referendum, l’un contro l’altro armati, vogliono cambiare il cosiddetto Porcellum. Entrambi nascono in seno al Pd. Ma il primo, che vuole modificare la legge elettorale in senso proporzionale, viene presentato dall’ex senatore Ds Stefano Passigli, come una consultazione nata dalla società civile, sull’onda del successo degli ultimi referendum. Mentre il secondo, che vuole sì una svolta, ma in senso maggioritario (con ritorno al vecchio Mattarellum), è stato progettato come “arma di difesa” da Walter Veltroni ed Arturo Parisi, con il sostegno di un’ampia fetta del Pd. Difesa da che? Dal referendum di Passigli.
Il segretario Bersani ha invitato al ‘disarmo bilaterale’, con il ritiro simultaneo dei diversi quesiti. “Le leggi elettorali si fanno in Parlamento - ha detto - e chiedo a tutti di stare alla proposta del Pd” di un sistema maggioritario a doppio turno con recupero proporzionale, “una proposta che è buona e giusta e presto presenteremo in Senato”. Ma Passigli (che si sospetta abbia il sostegno sotterraneo dei dalemiani, anche se Massimo D’Alema smentisce) ha risposto picche. E Veltroni e i suoi hanno affermato che di conseguenza non possono mollare la presa neanche loro.
Come se ne esce? Il segretario ha convocato una direzione nazionale, il 19 luglio, per tornare a discutere il tema legge elettorale e dare il via libera alla presentazione della proposta in Parlamento. “Se ora qualcuno pensa che possiamo tornare allegramente a dividerci senza pagare pegno, è irresponsabile”, avverte la vicepresidente del Pd Marina Sereni. Ma i referendari sembrano assolutamente decisi ad andare avanti e passare l’estate a raccoglier firme, con banchetti tenacemente contrapposti.

Province, abolirle? – Dopo una lunga e travagliata riunione del gruppo alla Camera, il Pd martedì ha deciso di astenersi sulla legge presentata dall’Idv per l’abolizione delle Province. Perché non sostenere quella proposta? Perché è “demagogica”, spiega Bersani: “confonde i costi della politica con il tema delle istituzioni. Tanto varrebbe allora reintrodurre la figura del podestà, per risparmiare. La proposta del Pd prevede invece un certo numero di soppressioni e di accorpamenti”, con la redistribuzione delle competenze, senza eliminare l’ente Provincia.
Ma anche questa volta il partito si è spaccato. E a parte la contrarietà alla scelta di astenersi manifestata da amministratori locali come i sindaci di Firenze e Salerno, Matteo Renzi e Vincenzo De Luca, hanno fatto trapelare le loro perplessità anche alcuni parlamentari, come Veltroni e Castagnetti. Mentre la capogruppo al Senato Anna Finocchiaro, l’ha detto chiaro e tondo: “E’ stato uno sbaglio”.
Niente, però, al confronto della rabbia espressa dai militanti su Internet. Perché, fanno notare, c’è il sospetto di un interesse di “casta” dietro la scelta: il Pd governa 40 province su 110. “Balle”, “minchiate”, rigettano la spiegazione di Bersani. E avvertono: “La delusione è tanta. Fate attenzione: forse il vento cambia davvero, ma per tutti!”.

Tav – Raramente, come sulla Tav, il Pd ha mostrato tanta compattezza. La premessa è d’obbligo. Bersani ha da subito schierato il partito dalla parte di chi ritiene che l’opera sia necessaria e che gli scontri in Val di Susa siano da condannare duramente. Ma pure questa volta, non sono mancati i distinguo.
Quando già si pensava di essere usciti indenni dalla disputa, infatti, Claudio Burlando, presidente della Regione Liguria, si è messo alla testa del fronte piddino anti-Tav e ha tuonato: la Torino-Lione è una operazione “senza senso”, dai “costi enormi”. Ma questa volta la risposta, lasciata da Bersani al responsabile Sicurezza Emanuele Fiano, è stata lapidaria: “Abbiamo scelto, chi è contro si adegui”.

Biotestamento – I temi etici, si sa, dividono trasversalmente tutti i partiti. E i democrat al pari degli altri. Questa volta la spaccatura emerge in Aula alla Camera, dove martedì prossimo è atteso il voto finale sulla legge sul testamento biologico, in attesa di approvazione da due anni. Bersani si è scagliato contro il testo della maggioranza: “Non ci piace”, perché la libertà di scelta alle persone, ha notato, viene lasciata solo quando sono ormai “morte”. Ma una parte del partito si è già schierata in questi giorni, nel voto sugli emendamenti, con Pdl, Lega e Udc: circa trenta ex popolari che fanno capo a Beppe Fioroni, hanno costantemente votato in difformità al gruppo Pd. Difficile che il segretario riesca a fargli cambiare idea.

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