Lodo Alfano e federalismo, i 20 giorni di fuoco del governo

Politica
Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi
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Tra l'11 e il 23 gennaio l'esecutivo dovrà affrontare alcuni nodi che potrebbero mettere a rischio la maggioranza: dalla sentenza della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento alle riforme, passando per la mozione contro Bondi

di Filippo Maria Battaglia

Inizierà l’11 gennaio, terminerà (forse) il 23. L’Epifania è arrivata, le feste stanno per concludersi, ma il calendario del governo per i prossimi giorni è quasi tutto segnato di rosso.
Nessuna festività: il colore, in questo caso, sta solo a indicare una fila (assai serrata) di date cruciali che, nonostante le continue rassicurazioni di Berlusconi (“sono certo di poter continuare a governare”) e con una maggioranza sensibilmente ridimensionata, rischiano di mettere a dura prova gli assetti politici della maggioranza.

Legittimo impedimento al vaglio della Corte - Si inizia martedì 11 gennaio. L’appuntamento è a Palazzo della Consulta, a Roma. È in quel giorno che si riunirà la Corte Costituzionale. Sul tavolo dei giudici, il legittimo impedimento, ovvero la norma che congela grazie “al concomitante esercizio di una o più delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti” (autocertificato da Palazzo Chigi) il processo del premier e dei ministri per 18 mesi, in attesa del lodo Alfano costituzionale.
Inutile girarci intorno: la legge riguarda principalmente Berlusconi – che di processi in corso ne ha ben tre – e la maggioranza non ha mai fatto mistero di considerare l’ok dei magistrati di Palazzo della Consulta un momento decisivo. La sentenza dovrebbe proprio arrivare martedì 11, anche in caso in cui uno degli ermellini non dovesse essere presente.

La mozione di sfiducia nei confronti di Bondi - Tra l’11 e il 14 gennaio il parlamento dovrebbe anche discutere la mozione di sfiducia al ministro della cultura Sandro Bondi. A scatenare la richiesta, il crollo – datato 6 novembre – della “Casa dei gladiatori”, a Pompei.
Bondi ha prima parlato di un trattamento “ingiusto e violento” nei suoi confronti, poi ha deciso di scrivere al Pd una lettera, pubblicata sul Foglio per scongiurare il rischio della mozione. Infine, non ha escluso un suo passo indietro ("Ne discuterò con il presidente del Consiglio. Non mi è mai mancata la sua fiducia e la sua vicinanza”).
Ad oggi – e a meno di clamorosi colpi di scena – il ministro non dovrebbe dimettersi. Complici i voti del “terzo polo”, rischia dunque di trovarsi sfiduciato dal parlamento. “Con i numeri potremo anche farcela - ha ipotizzato Umberto Bossi - però è una cosa un po' vergognosa, se non sta in piedi Pompei Bondi cosa c'entra?".

Il referendum a Mirafiori - Da Roma a Torino: in quegli stessi giorni – e precisamente tra il 13 e 14 gennaio – si svolgerà il referendum sui nuovi contratti per lo stabilimento di Mirafiori siglati da Fiat e dai i sindacati. Tutti, tranne la Fiom, che ha bollato come deleteria l’intesa, aggiungendo che "così vengono cancellati 20 anni di relazioni industriali”.
A prima vista, la questione da un punto di vista politico potrebbe riguardare più il centrosinistra (diviso tra "riformisti", che plaudono all’investimento del Lingotto, e "radicali", che giudicano la svolta pericolosa per i diritti dei lavoratori) che il centrodestra. In realtà, il tema come naturale riguarda direttamente anche il governo e l’attuale maggioranza. Per altro, l'amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne ha ricordato fino a pochi giorni fa che l’esecutivo è stato "incoraggiante con noi", appoggiando “il gruppo nel suo processo di trasformazione”.

I decreti attuativi del federalismo . L’ultima data, l’ha fissata Umberto Bossi. Coincide, manco a dirlo, con il federalismo. Dopo aver denunciato che il governo si trova nella “palude romana”, il leader della Lega ha incoraggiato Berlusconi (“è la nostra garanzia”), ma ha anche avvisato: tra il 17 e il 23 gennaio “deve passare l'ultimo decreto attuativo del federalismo nella commissione bicamerale”.
Se non passa, ha aggiunto il ministro per le Riforme, “non possiamo portarlo in Consiglio dei ministri”. L’Udc di Casini è pronta a trattare (“purché si investa su quoziente familiare e cedolare secca per gli affitti”), la Lega ringrazia ma ribatte che di fare entrare i centristi nella maggioranza non se ne parla ("sarebbe una continuazione della palude romana").
“Non puntiamo i piedi, siamo amici di Berlusconi, l'importante è portare a casa il federalismo presto" chiosa il Senatùr. Il problema, a questo punto, è capire solo se quest’amicizia, anche dopo il 23 gennaio andrà avanti.

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