Legge elettorale: botta e risposta tra Fini e Schifani

Politica
Il presidente della Camera Gianfranco Fini insieme con il suo "collega" Renato Schifani
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Nei giorni scorsi il presidente della Camera aveva chiesto che la revisione delle norme iniziasse a Montecitorio. Il numero uno del Senato: è già in discussione in una nostra commissione. La controreplica: "Risposta ineccepibile, resta questione politica"

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Deve essere il Senato e non la Camera ad esaminare per primo i disegni di legge di modifica della legge elettorale, uno dei vari terreni di scontro tra i finiani e il resto della maggioranza.
Lo ha detto giovedì 14 ottobre il presidente del Senato Renato Schifani, negando che la priorità passi a Montecitorio, come chiesto dal suo presidente Gianfranco Fini.
Schifani ha risposto alla lettera che Fini gli aveva inviato l'8 ottobre, dicendo "di ritenere opportuno che l'esame dei disegni di legge in materia elettorale debba proseguire presso la Commissione affari costituzionali del Senato", che ha già iniziato a lavorare su diverse proposte di riforma.
"Il presidente Schifani ha assicurato il presidente della Camera di aver avuto ampie garanzie dal presidente della commissione Affari costituzionali, sulla possibilità di proseguire nell'esame della legge elettorale", nonostante il grande carico di lavoro, come ha riferito l'ufficio stampa di palazzo Madama. Fini aveva chiesto a Schifani che l'iter legislativo della riforma elettorale iniziasse alla Camera, a causa del "significativo carico di lavoro" che grava attualmente sulla commissione del Senato.

La replica di Fini - La risposta della terza carica dello Stato non si è fatta attendere: "E' ineccepibile la risposta del presidente del Senato nell'ambito del leale rapporto di collaborazione tra i due rami del Parlamento - avrebbe detto Fini - Ma è altrettanto evidente che c'è una questione politica, perché risulta difficile pensare che il Senato manderà avanti davvero la riforma della legge elettorale".

Dietro alla querelle, gli assetti della maggioranza - La contesa, apparentemente centrata sull'eccessivo carico di lavoro del Senato che la Camera si offre di alleviare, ha in realtà un significato politico. Nel centrodestra sono stati solo i finiani ad aprire alla revisione della legge elettorale, su cui punta tutta l'opposizione, e alla Camera il gruppo di Futuro e libertà (Fli) - i 34 deputati fedeli a Fini dopo la sua rottura con Silvio Berlusconi e il Pdl - è decisivo per ottenere la maggioranza. Non è così al Senato dove, al momento, Pdl e Lega Nord, contrari a qualsiasi ipotesi di revisione del sistema elettorale, riescono a superare da soli il 50% dei voti.
La legge attuale precede un premio di maggioranza (alla Camera su base nazionale ed al Senato per ogni singola regione) alla lista o alla coalizione di liste che arriva per prima e soglie di sbarramento per i partiti più piccoli. Inoltre prevede che le liste siano bloccate, cioè non sia possibile per l'elettore dare la preferenza ad un determinato candidato.

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