Berlusconi: "Sui cinque punti non si tratta"

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Per il premier il documento approvato venerdì è un banco di prova decisivo per la maggioranza. Poi attacca Fini ("Se fonda un partito tradisce gli elettori") e apre a Casini. Ma Bossi frena: "Niente alleanze con l'Udc e in ogni caso si vada alle elezioni”

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I cinque punti, processo breve e riforma del Csm compresi, non sono negoziabili. Parole di Silvio Berlusconi che, a poco più di 24 ore dalla riunione del Pdl, scatenano le reazioni dei finiani e anche quelle di Umberto Bossi, preoccupato dell'apertura del premier all'Udc e determinato ad andare subito alle elezioni.

Apertura a Casini e critiche a Fini -
Sul documento programmatico in cinque punti uscito dal vertice del Pdl del 20 agosto non si tratta. Sarebbe questa la linea del premier Berlusconi, emersa nel corso del secondo vertice tenutosi a Palazzo Grazioli sull'organizzazione territoriale del partito, secondo quanto riferito da diversi partecipanti.
"Non accetteremo un voto sul 95% della mozione che conterrà i cinque punti programmatici, non intendiamo trattare sul 5% relativo alla giustizia. Prendere o lasciare" avrebbe detto il presidente del Consiglio.
Dal premier una stoccata anche verso Gianfranco Fini: "Se a Mirabello annuncerà un nuovo partito - avrebbe detto - tradirà gli elettori".
Berlusconi avrebbe poi riferito di guardare con interesse ai centristi di Casini auspicando il ritorno dell'Udc nella colalizione di centrodestra.
In mattinata i capigruppo di Camera e Senato del Pdl Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri avevano già espresso la necessità di un'intesa coi finiani su tutti i punti del documento, compresa la riforma della giustizia, con il processo breve.

La replica dei finiani - "La logica del 'prendere o lasciare' non appartiene alla politica ma al commercio": è questa la reazione di Italo Bocchino, capogruppo di Fli alla Camera. "Se il Pdl - afferma - considera Fini fuori da quel progetto politico, lui avrà il dovere nei confronti degli elettori di dar vita ad un nuovo soggetto politico". Il capogruppo Fli conferma l'intenzione dei finiani di dare la fiducia al governo sui 5 punti "senza però 'coartare' la nostra libertà di approfondire alcuni temi, a partire dal processo breve". "Noi rivendichiamo - ha proseguito Bocchino - il diritto di sostenere il governo ma di voler approfondire alcuni argomenti che ci verranno sottoposti a partire dal processo breve fino ad aspetti legati ai processi civili pendenti".
Quindi Bocchino torna ad addossare al premier le responsabilità di una definitiva rottura: "La nascita dei gruppi autonomi di Fli è stata la conseguenza dell'espulsione di Fini dal Pdl per incompatibilità politica. Quindi se c'è tradimento dell'elettorato la responsabilità è di chi ha voluto cacciare il cofondatore del partito che, dinanzi agli elettori, è stato capolista numero 2 in tutte le circoscrizioni di Italia". "E' evidente - conclude Bocchino - che con la storia politica, il suo prestigio, il suo consenso Fini non può essere un apolide della politica e che se il Pdl lo considera fuori da quel progetto politico, lui avrà il dovere, nei confronti degli elettori, di dar vita ad un nuovo soggetto politico. Come sempre tutto dipenderà da Berlusconi, che dovrà scegliere tra i percorsi della politica e quelli della forza muscolare".

Bossi: niente Udc e in ogni caso alle elezioni - "Ho telefonato a Silvio e gli ho detto che non va bene. Gli ho detto guarda che con Casini noi non ci stiamo. Nomen omen, Casini uguale a casino". E' questa la replica del leader della Lega Nord Umberto Bossi alle parole del premier.
"Berlusconi - ha proseguito Bossi -  ha detto che ha un progettino da portare in Parlamento. Se lo votano bene altrimenti si va alle elezioni. Io penso che bisogna andare alle elezioni comunque. Mi sembra improbabile - ha aggiunto - che si possa andare avanti cosi". "Se ci sono i mafiosi al nord", ha attaccato infine il Senatur, "li ha portati la Democrazia cristiana in soggiorno obbligato".

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