Dai medici spia alle concessioni alla Lega, Fini ha sempre frenato. La riforma sui tempi della giustizia la chiamò addirittura "amnistia mascherata". Per Berlusconi è l'obiettivo chiave. Per chiudere con i tribunali
Fini, Berlusconi e il Pdl. LE FOTO
Pdl, c’eravamo tanto amati. IL VIDEO
di Serenella Mattera
Il processo breve, innanzitutto. E poi l’immigrazione. Non serve interpellare bookmakers o cartomanti per sapere quali siano i più probabili casus belli della caduta del governo. Basta fare appello alla memoria e alle cronache parlamentari, per individuare nelle pieghe dei cinque punti programmatici su cui Silvio Berlusconi ha deciso di testare la tenuta della maggioranza e la fedeltà dell’alleato/avversario Gianfranco Fini (federalismo, fisco, Mezzogiorno, giustizia, sicurezza), i due nodi più spinosi. Che hanno già agitato le acque della legislatura ogni volta che si sono presentati alla prova delle due Camere. Dove le richieste di modifica dei finiani hanno spesso costretto il premier ad acconsentire a correzioni a lui poco gradite.
Prendere o lasciare, avverte adesso Berlusconi: “Sui cinque punti non si tratta”. E’ ancora fresco infatti il doloroso ricordo delle lunghe trattative che hanno portato il Pdl a votare in commissione Giustizia alla Camera gli emendamenti auspicati dalla presidente Giulia Bongiorno, finiana di ferro, alla legge sulle intercettazioni. Modifiche che hanno spezzato la linea dura portata avanti fino a quel momento dal governo, tanto che Berlusconi a caldo parlò di una legge “massacrata”. E a freddo ora promette: “Sulle intercettazioni ci torneremo, perché con questa legge (non ancora approvata in via definitiva, ndr) il problema non si è risolto affatto”.
Ma sul fronte Giustizia, dove pure la divisione in due del Csm “per rafforzare la separazione delle carriere” appare poco gradita ai finiani, il pericolo più attuale per la tenuta del governo viene dalla legge sul cosiddetto “processo breve”, che pone un tetto di durata a ogni grado di giudizio. Berlusconi ne ha fatto uno dei punti cardine sui quali a settembre chiederà la fiducia al Parlamento. Ma pare impossibile che con un colpo di spugna vengano cancellati tutti i motivi di contrarietà che per mesi Fini ha espresso in pubblico e in privato. L’esternazione più plateale risale al 22 aprile. Dal palco della direzione nazionale del partito dove di lì a poco si sarebbe consumato il più duro degli scontri Berlusconi-Fini (“Dimettiti” – “Che fai, mi cacci?”) il presidente della Camera disse al premier: “Ti ricordi le litigate a quattr’occhi che abbiamo fatto sul processo breve? Quella era un’amnistia mascherata: e allora mi devi dire che cosa c’entra la riforma della giustizia se poi passano messaggi del genere”.
Del resto, l’ex leader di An non ha mai nascosto le proprie perplessità. Risale all’8 novembre 2009 la prima sonora bocciatura di quella che si andava allora delineando come una legge sulla prescrizione breve: “Danneggerebbe i cittadini”, disse categorico Fini. Poi una lunga trattativa con Berlusconi e la presentazione al Senato di un testo di legge. Dove comparve una sorpresa sgradita ai finiani, inserita per compiacere l’alleato leghista: il tetto temporale ai processi non si applicava ai reati d’immigrazione. Fu l’inizio di un nuovo lungo braccio di ferro: l'avrebbero spuntata, anche questa volta, i finiani.
Il Senato ha approvato il processo breve il 20 gennaio. Ma da allora la legge è rimasta nei cassetti della commissione Giustizia della Camera. Minacciava di creare nuovi problemi interni alla maggioranza, infatti, la cosiddetta norma transitoria, che permetterebbe l’applicazione del tetto temporale anche ai processi in corso, tra cui quelli sui diritti tv Mediaset e Mills che coinvolgono il premier. Ma ora che ogni scudo processuale per il premier potrebbe venir meno con la temuta bocciatura da parte della Consulta della legge sul legittimo impedimento, Berlusconi, alla testa del Pdl, pur di avere il processo breve è pronto a sfidare a muso duro qualsiasi contrarietà di Fini e dei suoi parlamentari di Futuro e libertà. E loro potranno accettare che passi senza modifiche quella che il presidente della Camera definiva “un’amnistia mascherata”? C’è chi scommette di no.
Ma comunque, c’è un altro capitolo che appare fin d’ora in grado di creare non pochi problemi alla maggioranza. Quello dell’immigrazione. Il Governo ha “allo studio”, ha annunciato Berlusconi, provvedimenti per “accrescere e consolidare i risultati raggiunti” nel contrasto all’immigrazione clandestina. Ma da tempo Fini sul tema chiede maggiore “capacità di prestare ascolto alle richieste di coloro che, per motivate ragioni, bussano alle porte” dell'Italia. E si può star certi che sottoporrà a un vaglio severo tutte le norme del governo. Si ricordi allora, a titolo di esempio, che fine fece la disposizione sui medici-spia introdotta in un primo momento nel pacchetto sicurezza e bollata da Fini (e da 101 deputati Pdl) come un esempio di "miopia politica". Cancellata.
Tutti i video sulla crisi della maggioranza
Pdl, c’eravamo tanto amati. IL VIDEO
di Serenella Mattera
Il processo breve, innanzitutto. E poi l’immigrazione. Non serve interpellare bookmakers o cartomanti per sapere quali siano i più probabili casus belli della caduta del governo. Basta fare appello alla memoria e alle cronache parlamentari, per individuare nelle pieghe dei cinque punti programmatici su cui Silvio Berlusconi ha deciso di testare la tenuta della maggioranza e la fedeltà dell’alleato/avversario Gianfranco Fini (federalismo, fisco, Mezzogiorno, giustizia, sicurezza), i due nodi più spinosi. Che hanno già agitato le acque della legislatura ogni volta che si sono presentati alla prova delle due Camere. Dove le richieste di modifica dei finiani hanno spesso costretto il premier ad acconsentire a correzioni a lui poco gradite.
Prendere o lasciare, avverte adesso Berlusconi: “Sui cinque punti non si tratta”. E’ ancora fresco infatti il doloroso ricordo delle lunghe trattative che hanno portato il Pdl a votare in commissione Giustizia alla Camera gli emendamenti auspicati dalla presidente Giulia Bongiorno, finiana di ferro, alla legge sulle intercettazioni. Modifiche che hanno spezzato la linea dura portata avanti fino a quel momento dal governo, tanto che Berlusconi a caldo parlò di una legge “massacrata”. E a freddo ora promette: “Sulle intercettazioni ci torneremo, perché con questa legge (non ancora approvata in via definitiva, ndr) il problema non si è risolto affatto”.
Ma sul fronte Giustizia, dove pure la divisione in due del Csm “per rafforzare la separazione delle carriere” appare poco gradita ai finiani, il pericolo più attuale per la tenuta del governo viene dalla legge sul cosiddetto “processo breve”, che pone un tetto di durata a ogni grado di giudizio. Berlusconi ne ha fatto uno dei punti cardine sui quali a settembre chiederà la fiducia al Parlamento. Ma pare impossibile che con un colpo di spugna vengano cancellati tutti i motivi di contrarietà che per mesi Fini ha espresso in pubblico e in privato. L’esternazione più plateale risale al 22 aprile. Dal palco della direzione nazionale del partito dove di lì a poco si sarebbe consumato il più duro degli scontri Berlusconi-Fini (“Dimettiti” – “Che fai, mi cacci?”) il presidente della Camera disse al premier: “Ti ricordi le litigate a quattr’occhi che abbiamo fatto sul processo breve? Quella era un’amnistia mascherata: e allora mi devi dire che cosa c’entra la riforma della giustizia se poi passano messaggi del genere”.
Del resto, l’ex leader di An non ha mai nascosto le proprie perplessità. Risale all’8 novembre 2009 la prima sonora bocciatura di quella che si andava allora delineando come una legge sulla prescrizione breve: “Danneggerebbe i cittadini”, disse categorico Fini. Poi una lunga trattativa con Berlusconi e la presentazione al Senato di un testo di legge. Dove comparve una sorpresa sgradita ai finiani, inserita per compiacere l’alleato leghista: il tetto temporale ai processi non si applicava ai reati d’immigrazione. Fu l’inizio di un nuovo lungo braccio di ferro: l'avrebbero spuntata, anche questa volta, i finiani.
Il Senato ha approvato il processo breve il 20 gennaio. Ma da allora la legge è rimasta nei cassetti della commissione Giustizia della Camera. Minacciava di creare nuovi problemi interni alla maggioranza, infatti, la cosiddetta norma transitoria, che permetterebbe l’applicazione del tetto temporale anche ai processi in corso, tra cui quelli sui diritti tv Mediaset e Mills che coinvolgono il premier. Ma ora che ogni scudo processuale per il premier potrebbe venir meno con la temuta bocciatura da parte della Consulta della legge sul legittimo impedimento, Berlusconi, alla testa del Pdl, pur di avere il processo breve è pronto a sfidare a muso duro qualsiasi contrarietà di Fini e dei suoi parlamentari di Futuro e libertà. E loro potranno accettare che passi senza modifiche quella che il presidente della Camera definiva “un’amnistia mascherata”? C’è chi scommette di no.
Ma comunque, c’è un altro capitolo che appare fin d’ora in grado di creare non pochi problemi alla maggioranza. Quello dell’immigrazione. Il Governo ha “allo studio”, ha annunciato Berlusconi, provvedimenti per “accrescere e consolidare i risultati raggiunti” nel contrasto all’immigrazione clandestina. Ma da tempo Fini sul tema chiede maggiore “capacità di prestare ascolto alle richieste di coloro che, per motivate ragioni, bussano alle porte” dell'Italia. E si può star certi che sottoporrà a un vaglio severo tutte le norme del governo. Si ricordi allora, a titolo di esempio, che fine fece la disposizione sui medici-spia introdotta in un primo momento nel pacchetto sicurezza e bollata da Fini (e da 101 deputati Pdl) come un esempio di "miopia politica". Cancellata.
Tutti i video sulla crisi della maggioranza