Abolizione delle Province, la questione è ancora aperta

Politica
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Il dibattito prosegue da decenni e ha attraversato i programmi elettorali di destra come di sinistra. E mentre se ne discute, le province vivono. Anzi, crescono

di Serenella Mattera

Viterbo, Caserta, L’Aquila. E poi Cagliari, Carbonia e Iglesias, Medio Campidano, Nuoro, Oristano, Sassari, Olbia Tempio, Ogliastra. Sono le Province italiane che vanno al voto nella primavera 2010. Le prime tre a marzo, assieme a circa 450 Comuni e 13 Regioni. Ed entro l’estate i capoluoghi sardi, per i quali una data non è ancora fissata. Tutto regolare, dunque. I consigli e i presidenti si rinnovano, i partiti si preparano a raccogliere i consensi per un nuovo mandato. Mentre lo tsunami che minacciava di travolgere le 109 Province italiane è rimasto inciso sulla carta dei programmi elettorali. Una promessa che appare ben lontana dal realizzarsi.

«Aboliremo le Province. Così si risparmiano dieci-tredici miliardi di euro l’anno», diceva Silvio Berlusconi il 10 aprile 2008 a Porta a porta. Più prudente Walter Veltroni, che prometteva l’abolizione solo dei capoluoghi destinati a diventare città metropolitane. Ma il mantra di una severa sfoltita agli enti locali “inutili” o “superflui”, province in testa, sembrava riuscire nell’impresa impossibile di accomunare Beppe Grillo e Berlusconi, l’Udc e l’Idv. Praticamente tutti, con la sola eccezione della Lega.

Il dibattito sulla cancellazione delle Province, in realtà, prosegue da decenni. Chi è favorevole spiega che costano tanto (13,5 miliardi di euro nel 2006, secondo l’Istat) e che le loro competenze potrebbero passare agevolmente agli altri enti territoriali. Con un enorme risparmio di spesa e senza danno per i circa 63 mila dipendenti, che sarebbero ricollocati. Mentre scomparirebbe una intera classe di politici locali, che oggi occupano più di 4000 poltrone di assessori e consiglieri provinciali (4079 nel 2008: uno ogni 15 mila italiani), per un costo che nel 2006 ammontava a 119 milioni di euro.

Ma mentre si discute, le province vivono. Anzi, crescono. Le ultime nate, con le elezioni dell’anno scorso, sono Barletta-Andria-Trani, Monza e la Brianza (molto popolosa, ma distante appena 20 chilometri da Milano) e Fermo (per scissione dalla già piccola Ascoli Piceno). E così adesso sono 109 i capoluoghi che si dividono il territorio nazionale (erano 91 alla nascita della Repubblica). Mentre in Parlamento ha perso progressivamente forza quella spinta all’abolizione che doveva essere il cavallo di battaglia della legislatura. L’Italia dei valori, per dire, a ottobre è riuscita a portare nell’Aula della Camera la sua proposta di legge costituzionale per l’abolizione delle Province. Ma la maggioranza l’ha rispedita in commissione, per un’ulteriore riflessione.

E mentre finiva nel dimenticatoio anche la campagna del quotidiano di destra Libero, per chiedere al governo che si impegnasse sul fronte abolizionista, le proteste compatte di presidenti e sindaci di ogni colore politico hanno portato alla sospensione della prima concreta sforbiciata data dalla Finanziaria 2009 alle poltrone di Comuni e Province. Il taglio avrebbe portato a regime, nel 2012, a un risparmio di 213 milioni di euro, di cui 13 milioni già nel 2010. Ma il ministro Roberto Calderoli ha spiegato che metterlo in campo ora avrebbe prodotto «disordini» in vista delle amministrative di marzo. E quindi la riduzione prevista del 20% dei consiglieri e assessori comunali e provinciali, è stata rinviata al 2011.
Intanto in Parlamento è arrivata la Carta delle autonomie, approvata a dicembre dal Consiglio dei ministri. Che riforma gli enti locali, ma senza abolire le Province. Taglierà, promette il leghista Calderoli, 51.303 poltrone negli enti locali. E metterà in campo una razionalizzazione del sistema auspicata anche dai vertici dell’Unione delle province (Upi), perché nell’ambito di essa, sottolineano, si potranno “prevedere meccanismi di revisione delle circoscrizioni provinciali che ne limitino la proliferazione”.

La proliferazione, appunto. Perché c’è chi di Province ne vorrebbe ancora di nuove. Il deputato leghista Davide Caparini ha scritto una proposta di legge per istituire quella della Valcamonica (capoluogo designato Breno: poco più di 5000 abitanti). Ma i Camuni questa volta potrebbero restar delusi.

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