In Evidenza
Altre sezioni
altro

Per continuare la fruizione del contenuto ruota il dispositivo in posizione verticale

Mafia, la Cassazione: niente permessi premio a Filippo Graviano

Sicilia

Il capomafia è stato condannato all'ergastolo per essere stato uno dei mandanti delle stragi del '92 e del '93 e per l'uccisione di don Pino Puglisi. Secondo i magistrati ostano alla concessione del beneficio la sua dissociazione solo di facciata e l'aver mantenuto "rapporti con i familiari" tra i quali ci sono parenti "coinvolti in logiche associative"

Il tuo browser non supporta HTML5

Condividi:

Condannato all'ergastolo perché considerato tra i mandanti delle stragi di mafia del '92 e del '93 e per l'uccisione di don Pino Puglisi, recluso dal 1994 in regime "differenziato", il capomafia Filippo Graviano non ha ottenuto dalla Cassazione il via libera per uscire dal carcere in permesso premio nonostante "la regolare condotta carceraria e il percorso scolastico". Secondo i magistrati ostano alla concessione del beneficio la sua dissociazione solo di facciata e l'aver mantenuto "rapporti con i familiari" tra i quali ci sono parenti "coinvolti in logiche associative". Gli ermellini hanno confermato il no al permesso del tribunale di sorveglianza di L'Aquila.

La decisione dei giudici

In particolare, il verdetto 41329 depositato oggi dalla Prima sezione penale della Cassazione relativo all'udienza dello scorso 6 luglio, ha ritenuto corretta l'ordinanza emessa dai giudici aquilani con la quale il 9 febbraio 2022 era stata respinta la richiesta di permesso premio avanzata da Filippo Graviano. Il provvedimento rilevava che "il detenuto aveva sottoscritto una dichiarazione di dissociazione, cui non aveva fatto seguito una collaborazione con gli inquirenti" inoltre Graviano "aveva mantenuto i rapporti con i familiari, tra i quali vi erano anche soggetti pure coinvolti in logiche associative". Contro questa decisione, la difesa ha fatto ricorso in Cassazione denunciando la violazione dell'art. 30ter dell'ordinamento penitenziario che regola la concessione dei permessi premio. "Il detenuto - ha sostenuto il difensore - aveva reso dichiarazione incondizionata di dissociazione ed aveva accettato il confronto con il pentito Spatuzza, che ne aveva riconosciuto l'estraneità a fatti di sangue; non era stato coinvolto in una recente indagine avente ad oggetto il mandamento mafioso di Brancaccio, già di riferimento" del Graviano. Inoltre, "la condotta in carcere era sempre stata regolare, tanto che era stata riconosciuta la liberazione anticipata, e di partecipazione al trattamento, come desumibile dal percorso scolastico giunto sino al conseguimento, con il massimo dei voti, della laurea magistrale" e poi "la sottoposizione al regime differenziato non è incompatibile con l'ammissione all'esperienza premiale". Ad avviso della Cassazione, "l'istituto dei permessi premio costituisce elemento del trattamento penitenziario e quindi va riconosciuto previa valutazione dell'andamento complessivo del percorso riabilitativo e, dunque, se risulta, in relazione ai progressi compiuti e alle prospettive, idoneo a contribuire al conseguimento dell'obiettivo rieducativo". Tuttavia, nel caso di Graviano, secondo i supremi giudici, il Tribunale di sorveglianza "ha dato conto della valutazione negativa compiuta, giustificandola con motivazione in questa sede non censurabile". "La considerazione dei gravissimi reati commessi e' stata unita al rilievo che non ne era seguita una effettiva presa di distanza ed anzi - scrive la Cassazione - erano stati mantenuti i contatti con i familiari pure già coinvolti nel medesimo contesto di criminalità organizzata". "Dati che, letti alla luce della carente rivisitazione critica dei gravissimi reati commessi, non hanno consentito di valorizzare la pur regolare condotta carceraria e il percorso scolastico", conclude il verdetto.

approfondimento

Dalla strage di Capaci alla scarcerazione: chi è Giovanni Brusca