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Processo Open Arms, Salvini in aula a Palermo per la nuova udienza

Sicilia

Il leader della Lega, che era presente in aula, è accusato del sequestro di 147 migranti nell’agosto del 2019 per non aver fatto sbarcare le persone soccorse in mare. “Non eravamo in condizione di arrivare in Spagna. I profughi stavano male psicologicamente e fisicamente, eravamo a 700 metri da Lampedusa e c'erano state già persone che avevano minacciato di buttarsi in mare", ha raccontato durante l'udienza il capitano della nave, Marc Reig Creus

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Si è svolta nell’aula bunker dell’Ucciardone di Palermo, la nuova udienza del processo Open Arms, che vede imputato il leader della Lega Matteo Salvini, accusato del sequestro di 147 migranti nell’agosto del 2019 e di rifiuto di atti d'ufficio. Sul banco dei testimoni sfileranno Marc Reig Creus, comandante della nave Open Arms, Vincenzo Asaro, direttore sanitario dell'Ospedale di Licata, Asp di Agrigento, Cristina Camilleri, responsabile del Cta - dipartimento di Salute mentale dell'Asp di Agrigento, Alessandro Dibenedetto, psicologo in servizio presso l'Emergency Onlus, Katia Valeria Di Natale, medico in servizio presso lo Staff Cisom, Progetto Passim 2, Dario Caputo, prefetto di Agrigento, Rosa Maria Iraci, Questore di Agrigento. Era presente in aula lo stesso Matteo Salvini.

La testimonianza del medico

"Erano in condizioni di salute mediocri e il protrarsi della loro permanenza a bordo della Open Arms rappresentava un fattore di rischio elevato del peggioramento della salute psicofisica dei migranti, nel senso di un aggravamento di malattie presenti o dell'insorgenza di nuove". Così l'ex direttore sanitario dell'ospedale di Licata, Vincenzo Asaro, ha descritto lo stato in cui trovò i migranti soccorsi nel Canale di Sicilia dalla nave della ong spagnola. "Le condizioni dei migranti - ha aggiunto - rappresentavano un rischio per l'incolumità degli stessi e del personale di navigazione. Li trovammo sul ponte, erano più di un centinaio - ha detto - le donne erano al centro. Si riparavano sotto una tettoia. C'erano due bagni alla turca piccoli e una cambusa, i migranti dormivano sdraiati sul ponte non c'erano alternative. Non avevano saponi o detergenti e usavano l'acqua di mare che veniva desalinizzata. Quando facemmo il sopralluogo c'era una catasta di rifiuti". Il medico non fece accertamenti sanitari sui singoli profughi, ma parlando con il dottore di bordo seppe che a molti erano state riscontrate affezioni cutanee, probabilmente scabbia, infezioni alle vie urinarie, dolori addominali, vomito. Diversi profughi avrebbero poi mostrato al medico ferite e lesioni. "Erano in condizioni molto precarie - ha spiegato - è verosimile che non avessero neppure modo di cambiarsi gli indumenti intimi. Cercavano di avvicinarsi a me per raccontarmi i loro problemi di salute. Stiamo parlando di persone in condizioni di grave disagio - ha concluso - Provammo un sentimento di grande tristezza vedendoli. Erano in una condizione di mancanza di tutto”.

La psicologa che visitò i migranti: "Terrorizzati da ritorno in Libia"

"Per le esperienze che avevano avuto durante il viaggio avevano sviluppato il terrore di essere riportati in Libia. La Libia rappresentava la morte e per questo in diversi si erano buttati in mare, perché per loro, che non avevano alcuna fiducia nelle rassicurazioni dell'equipaggio, gettarsi in mare significava riuscire ad arrivare a Lampedusa e salvarsi". Così Cristina Camilleri, la psicologa responsabile del Dipartimento salute mentale di Agrigento, ha descritto nella sua deposizione lo stato in cui trovò i migranti soccorsi nel Canale di Sicilia dalla nave della ong spagnola. Camilleri fece un controllo a bordo dell'imbarcazione su ordine della Procura di Agrigento nei giorni in cui la nave fu costretta a sostare davanti alle coste di Lampedusa. "Specie il gruppo degli uomini - ha raccontato - aveva deciso di non tornare in Libia . Per loro buttarsi era l'unica possibilità". La pm Giorgia Righi ha chiesto alla teste come i profughi avrebbero eventualmente vissuto la decisione di proseguire il viaggio per la Spagna e non fermarsi sull'isola delle Pelagie. "La situazione era di urgenza - ha spiegato - e si doveva evitare che l'urgenza si trasformasse in emergenza".

Camilleri ha anche raccontato in particolare di due donne incontrate a bordo della nave. Una era la sorella di uno dei profughi che si erano buttati in acqua. "Aveva avuto una reazione grave - ha raccontato - tanto che era stata curata con tranquillanti. I compagni di viaggio avevano interpretato il suo comportamento secondo i loro parametri culturali: l'avevano ritenuta posseduta da forze demoniache e le avevano fatto rituali con danze per liberarla . Dai compagni di viaggio era ritenuta una presenza negativa". "Un'altra donna - ha aggiunto - era in stato catatonico, non mangiava, non rispondeva". La teste ha riferito che diversi profughi le raccontarono di aver subito torture e violenze sessuali. 

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Il capitano della nave: “Mai minacciati dai migranti a bordo”

"Non ci siamo mai sentiti minacciati dai profughi a bordo. Gli unici momenti di tensione sono stati determinati da azioni compiute dai profughi per la disperazione come quando alcuni si buttarono in mare per cercare di raggiungere a nuoto Lampedusa", ha ricordato Marc Reig Creus capitano della Open Arms. Il capitano, che compie missioni di soccorso dei profughi dal 2017, ha ricostruito i particolari di tre interventi di salvataggio in mare compiuti tra l'1 agosto e il 9 agosto del 2019 in acque Sar libiche e maltesi. I tre gruppi di migranti, aiutati in tre distinti momenti, vennero presi poi a bordo della Open Arms che rimase in attesa dell'indicazione del porto sicuro fino al 20 agosto davanti all'isola di Lampedusa. In tutti gli interventi i profughi sarebbero stati in condizioni di difficoltà. Secondo la testimonianza del capitano, Malta non avrebbe mai indicato il cosiddetto porto sicuro, la possibilità, cioè, di attracco sulle sue coste.

"Tra il 3 e il 9 agosto ci siamo tenuti a 24 miglia dal porto sicuro più vicino che era Lampedusa, senza forzare il divieto di entrare nelle acque italiane. Avevamo chiesto l'indicazione del porto sicuro all'Italia il 2 agosto senza ricevere risposta. Prima di andare in Spagna dovevamo attendere il no all'attracco dai porti più vicini: Italia, Malta, Grecia", ha poi aggiunto il capitano che rispondendo alla domanda se sapesse che erano previste multe per chi violava il divieto di transito nelle acque italiane il teste ha detto: "lo sapevamo ma non ci preoccupava perché la nostra priorità è salvare vite".

"Il 9 agosto Malta si era offerta di far sbarcare solo 39 migranti, gli ultimi soccorsi, ma noi decidemmo di non autorizzare lo sbarco. Non avremmo potuto spiegare a chi fosse rimasto sulla Open Arms perché solo alcuni potevano essere portati a terra e altri no. Temevamo disordini a bordo perché gli animi erano esasperati, temevamo per la sicurezza della nave", ha proseguito Marc Reig Creus. Il comandante ha spiegato così perché decise di non far sbarcare a Malta l'ultimo dei tre gruppi di migranti soccorsi. "C'erano state prima alcune evacuazioni sanitarie - ha spiegato - Chi era rimasto a bordo chiedeva 'perché lui sì e io no?'". "Tentai di convincere il capitano della nave maltese a prenderli tutti a bordo - ha aggiunto - spiegandogli che altrimenti sarebbero nate delle tensioni. Ci siamo anche offerti di attendere una imbarcazione più grande, ma non avemmo risposte".

“Impossibile arrivare in Spagna”

"Il 14 agosto, il giorno che sapemmo che il Tar aveva annullato il divieto di transito nelle acque italiane, c'erano onde alte tre metri. A bordo c'era un clima di paura. I migranti erano sul ponte sotto una specie di copertura. Decidemmo di avvicinarci a Lampedusa ed entrammo nelle acque italiane. Venni fermato dalla Finanza che mi pose delle domande e mi disse che c'era pronta una multa di un milione per me e l'armatore e io risposi che avevo parlato con gli avvocati e che le sanzioni non erano più in vigore, ma loro insistettero sostenendo che non c'era stato indicato un porto sicuro. A quel punto chiesi di entrare per mettermi al riparo dal maltempo. Mi fu consentito purché non entrassi in porto. Continuammo a chiedere il porto sicuro senza risposta", ha raccontato il capitano della Open Arms. "Il 18 agosto le autorità spagnole ci offrirono di puntare verso il porto spagnolo di Algeciras - ha continuato - Noi, però, non eravamo in condizione di arrivare in Spagna. I profughi stavano male psicologicamente e fisicamente, eravamo a 700 metri da Lampedusa, c'erano state già persone che avevano minacciato di buttarsi in mare e ci sarebbero voluti otto giorni per arrivare in Spagna" "Non potevamo navigare neppure per un'altra ora - ha spiegato - Eravamo stremati. I profughi si volevano buttare in mare. Chiedemmo a quel punto di entrare nel porto di Lampedusa per poi eventualmente portare in Spagna i migranti soccorsi. Allontanarci dall'Italia avrebbe comportato un pericolo di vita per chi era a bordo e il mio dovere invece è salvare vite". 

Salvini: “Se questi sono i testi dell'accusa abbiamo vinto”

“Se questi sono i testi dell'accusa abbiamo già vinto. Non c'è un elemento a mio carico. Fossero tutti così", ha detto Salvini a margine del processo.

La difesa di Salvini: “Cambio di rotta improvviso”

Un improvviso cambio di destinazione. La nave che deve andare a Lampedusa e invece si dirige esattamente dove, dopo qualche giorno, sarebbe avvenuta la prima delle tre operazione di soccorso dei migranti compiute tra l'1 e il 9 agosto del 2019. Non sarebbero coincidenze per l'avvocato Giulia Bongiorno, legale di Salvini. Il controesame della difesa del capitano della Open Arms, è iniziato con una domanda sulla destinazione della nave, prima diretta alle Pelagie poi improvvisamente in navigazione proprio verso la zona in cui l'1 agosto del 2019 avrebbe eseguito il salvataggio del primo gruppo di profughi. Secondo l'avvocato tra l'imbarcazione della Ong catalana e il barcone soccorso ci sarebbe stato un appuntamento preciso. Questo spiegherebbe il cambiamento di destinazione e la cancellazione dal diario di bordo di Lampedusa. "Mi fu dato l'ordine di dirigermi al confine tra la zona Sar libica e maltese e io andai. Non chiesi perché avevano cambiato idea e perché non dovevo più andare in Sicilia e cancellai Lampedusa per non fare confusione", ha risposto il comandante. "Tra noi e il barchino non c'era nessun appuntamento", ha spiegato. Bongiorno ha anche chiesto perché sulla Open Arms ci fossero due giornalisti: "perché è importante - ha risposto il teste - che ci sia qualcuno imparziale a bordo che documenti cosa accade". L'avvocato ha anche messo in dubbio, producendo alcuni documenti, che l'intervento di soccorso compiuto da Open Arms l'1 agosto fosse necessario. "L'imbarcazione intercettata è poi affondata?", ha chiesto. "Era sovraccaricata e ondeggiava ma fin quando rimanemmo lì non si inabissò", ha risposto Creus.

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