Il provvedimento riguarda un Consorzio che avrebbe beneficiato di oltre 109 milioni di euro di crediti d'imposta, accumulati da dicembre 2020, poi ceduti a intermediari finanziari ottenendone oltre 83 milioni di euro
Trovate fatture in addebito per lavori edili mai realizzati: la guardia di finanza di Napoli ha eseguito un sequestro da circa 110 milioni di euro di crediti d'imposta ottenuti con il cosiddetto "superbonus 110%" previsto dal decreto "Rilancio".
Il provvedimento
Il provvedimento riguarda un Consorzio che avrebbe beneficiato di oltre 109 milioni di euro di crediti d'imposta, accumulati da dicembre 2020, poi ceduti a intermediari finanziari ottenendone oltre 83 milioni di euro. Perquisizioni e sequestri sono stati eseguiti a casa di 21 persone, nelle sedi di tre società e presso istituti finanziari. I provvedimenti sono stati eseguiti nei confronti dei membri del consiglio di amministrazione del consorzio, cessionari finali dei crediti, intermediari e professionisti che avrebbero rilasciato le certificazioni o il visto di conformità, e hanno interessato le regioni Abruzzo, Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Piemonte e Veneto.
Le accuse
Le indagini sono scattate grazie a un'analisi di rischio sviluppata dall'Agenzia delle Entrate, precisamente dal Settore Contrasto Illeciti sulla spettanza del bonus. Secondo i finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria e gli inquirenti dei magistrati della sezione Criminalità Economica della Procura di Napoli, il Consorzio, grazie a una rete di procacciatori, si sarebbe proposto a privati cittadini interessati a effettuare i lavori rientranti nell'applicazione del superbonus, facendo stipulare loro dei contratti per "appalto lavori con cessione del credito d'imposta" e chiedendo la consegna della documentazione necessaria. Ma i rapporti tra il Consorzio e il committente, cessavano subito dopo gli adempimenti burocratici. Una volta incassati i contratti, infatti, il Consorzio avrebbe emesso fatture per operazioni inesistenti nei confronti dei privati committenti in cui si faceva riferimento a uno stato di avanzamento lavori per una percentuale non inferiore al 30% (percentuale minima richiesta per vantare la cessione del credito d'imposta). E per questi lavori - eseguiti solo sulla carta - emettevano fatture ai committenti che però quest'ultimi hanno scoperto solo dopo i controlli dei finanzieri. Si tratta di documentazione correlata da cessioni di crediti a favore del Consorzio, precedute dalla comunicazione dei commercialisti che avrebbero apposto il visto di conformità. Inoltre, è emerso dall'analisi, le certificazioni tecniche sui lavori svolti dal Consorzio, che sarebbero state rilasciate da professionisti abilitati, presentavano rilevanti anomalie, evidenziate dall'Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l'Energia e lo Sviluppo Economico Sostenibile (Enea).