Mercato delle auto in crisi, dai tagli alla chiusura di stabilimenti: cosa sta succedendo
Motori ©GettyLa lobby europea delle auto chiede di rivedere le sanzioni sulle emissioni, molte case automobilistiche anche al di fuori del nostro continente chiudono stabilimenti e tagliano posti di lavoro. E in Italia Stellantis ferma per ora il progetto idrogeno, in un Paese, il nostro, con un parco vecchissimo
Se il settore automotive aveva bisogno di una buona notizia per rifiatare, gli ultimi 4 giorni non sono certo stati d'aiuto.
Partiamo dal passato più recente, la decisione della casa di lusso Jaguar Land Rover di tagliare fino a 500 posti di lavoro dirigenziali in tutto il Regno Unito. Scelta derivata della pressione sulle vendite dovuta ai problemi dei dazi doganali. Ma dall'altra parte del mondo le cose non vanno meglio, se pensiamo che Nissan ha intenzione ridurre il numero dei suoi siti produttivi da 17 a 10, in patria e all'estero, entro l'anno fiscale 2027, e ha già deciso di chiudere il suo storico stabilimento giapponese di Oppama, a sud di Tokyo, con 2.400 dipendenti. E anche a casa nostra non va certo meglio, se si pensa che, secondo una recente ricerca condotta indagine condotta per conto di Facile.it dall’istituto di ricerca mUp Research, circa 10,7 milioni di individui in Italia guidano un’auto con più di 15 anni, che diventano molto più del doppio (26 milioni) se consideriamo auto con più di 7 anni di anzianità. Insomma c'è poca voglia di acquistare auto nuove, anche in termini di nuove motorizzazioni. Tanto che Stellantis ha deciso di dire stop al programma di sviluppo della tecnologia a celle a combustibile a idrogeno.
Tutto questo si inserisce in un quadro europeo che definire non semplicissimo è un eufemismo. Acea, l'associazione che riunisce i produttori di auto europei, ha chiesto una revisione delle sanzioni sulle emissioni di CO2 "entro la fine dell'anno" a causa delle vendite di vetture elettriche inferiori alle aspettative.
Vetture elettriche flop ed "effetto L'Avana"
A parlare è stato il capo della lobby europea dei costruttori (ACEA) e numero uno di Mecedes, Ola Kallenius, chiedendo un rinvio del divieto di vendita di veicoli a benzina fino al 2035: "Gli attuali standard basati sulle sanzioni per le emissioni di CO2 di auto e furgoni stanno soffocando la crescita economica. Devono essere rivisti entro la fine dell'anno per riflettere ciò di cui l'industria e i mercati hanno disperatamente bisogno: flessibilità e un approccio più orientato al mercato". All'Europa viene chiesto che gli standard vengano rivisti per includere auto ibride, modelli con range extender (un motore a benzina che ricarica la batteria), motori a benzina "ad alta efficienza" e carburanti sintetici, ancora in fase di sviluppo.
Kallenius teme che l'Europa diventi come Cuba e rischi un "effetto L'Avana", con gli europei alla guida delle loro vecchie auto inquinanti per molto tempo perché non possono permettersene di nuove, come nella capitale cubana.
Acea aveva già ottenuto dalla Commissione europea un primo allentamento - il rinvio degli obiettivi di CO2 tra il 2025 e il 2027 - delle norme imposte alle case automobilistiche in materia di emissioni, al fine di evitare loro multe nel 2025. "Ma il contesto economico si è notevolmente deteriorato e, a meno che le condizioni non migliorino, questa tendenza non cambierà", ha sottolineato Kallenius.
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L'Italia e un parco auto vecchio, anzi vecchissimo
E il rischio europeo paventato da Kallenius sembra trovare terreno fertile proprio in Italia. Secondo una ricerca condotta per Facile.it dall’istituto di ricerca mUp Research, circa 10,7 milioni di individui guidano un’auto con più di 15 anni (41,2% del campione) e, se ci si allarga lo sguardo ai conducenti di vetture con più di 7 anni di anzianità, si arriva addirittura a 26 milioni di automobilisti.
Quali sono i motivi? 15,6 milioni di persone semplicemente ritengono che l’auto funzioni ancora benissimo. Poi ci sono anche le difficoltà economiche (25,8%), seguite dal fatto che si usi poco la macchina (11,5%).
Avere un veicolo "anziano" ha impatto sia sulla sicurezza che sulla sostenibilità, oltre ad incidere sul premio pagato per l’Rc auto, con un premio medio può salire fino al +17%.
Ciao ciao idrogeno
In questo quadro, intanto, Stellantis ha deciso di dire stop al programma di sviluppo della tecnologia a celle a combustibile a idrogeno "a causa della limitata disponibilità di infrastrutture per il rifornimento di idrogeno, degli elevati requisiti di capitale e della necessità di maggiori incentivi all’acquisto da parte dei consumatori", si legge in una nota dell'azienda che non prevede l’adozione di veicoli commerciali leggeri alimentati a idrogeno prima della fine del decennio.
Addio quindi (o forse solo arrivederci) alla annunciata nuova gamma di veicoli Pro One alimentati a idrogeno, la cui produzione in serie avrebbe dovuto iniziare quest’estate a Hordain, in Francia (furgoni di medie dimensioni) e a Gliwice, in Polonia (furgoni di grandi dimensioni).
Ma Stellantis tiene a sottolineare che questa decisione non avrà alcun impatto sul personale presso i siti produttivi dell'azienda. Le attività di ricerca e sviluppo legate alla tecnologia dell’idrogeno saranno reindirizzate verso altri progetti. “In un contesto in cui l’azienda si sta mobilitando per rispondere alle stringenti normative europee sulle emissioni di CO2, Stellantis ha deciso di interrompere il suo programma di sviluppo della tecnologia a celle a combustibile a idrogeno”, spiega Jean-Philippe Imparato, chief operating officer per l’Europa allargata. “Il mercato dell’idrogeno rimane un segmento di nicchia, senza prospettive di sostenibilità economica a medio termine. Dobbiamo fare scelte chiare e responsabili per garantire la nostra competitività e soddisfare le aspettative dei nostri clienti con la nostra offensiva di veicoli elettrici e ibridi per passeggeri e veicoli commerciali leggeri”.
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Stellantis, stop al piano per produzione auto a idrogeno
Il colosso Nissan
Non va molto meglio anche dall'altra parte del mondo, fuori dall'Europa. Nissan, il colosso delle auto mondiale chiuderà nel 2028 la produzione dell'iconico stabilimento giapponese di Oppama, a sud di Tokyo, con 2.400 dipendenti, nell'ambito di un piano di ristrutturazione volto a ridurre la capacità globale del 20%. Per raggiungere i suoi obiettivi l'azienda sta anche considerando di ridurre il numero dei suoi siti produttivi da 17 a 10, in patria e all'estero entro l'anno fiscale 2027.
La casa auto giapponese ha reso noto che trasferirà la produzione di veicoli dall'impianto nella prefettura di Kanagawa presso la sua filiale, Nissan Motor Kyushu, nel Giappone sud-occidentale. La decisione, spiega Nissan, non riguarderà altre strutture e funzioni intorno allo stabilimento, l'impianto di crash test, tra cui il centro di ricerca. "Nissan ha preso una decisione difficile ma necessaria. Lo consideriamo un passo fondamentale per superare le sfide attuali e costruire un futuro sostenibile", ha affermato l'amministratore delegato, Ivan Espinosa, in un comunicato.
L'impianto di Oppama è entrato in funzione nel 1961 e ha ospitato il primo veicolo elettrico al mondo prodotto in serie, la Leaf, a partire dal 2010. L'azienda ha inoltre dichiarato che terrà colloqui con i sindacati sul futuro dei lavoratori dello stabilimento, attualmente circa 2.400, per una copertura oltre la fine dell'anno fiscale 2027. Il terzo produttore nipponico per volumi di vendita intende ridurre la capacità produttiva da 3,5 milioni di unità a 2,5 milioni di unità a livello globale, esclusa la Cina, e tagliare 20.000 posti di lavoro su scala mondiale, dopo aver registrato una perdita netta di 671 miliardi di yen (3,9 miliardi di euro) per l'anno fiscale 2024, a fronte del rallentamento delle vendite nei suoi due principali mercati di sbocco, Stati Uniti e Cina.
Jaguar Land Rover taglia
Come detto anche la casa automobilistica di lusso Jaguar Land Rover ha deciso di intervenire tagliando fino a 500 posti di lavoro dirigenziali nel Regno Unito a causa della pressione sulle vendite dovuta ai problemi dei dazi doganali. L'azienda, di proprietà di Tata, ha affermato che circa l'1,5% della sua forza lavoro nel Regno Unito sarà interessata dai tagli, che si inseriscono nell'ambito di un programma di esubero volontario per i manager del Paese.
Questo dopo che JLR ha rivelato la scorsa settimana che le vendite al dettaglio sono crollate del 15,1% nei tre mesi fino a giugno, a seguito di una temporanea pausa nelle esportazioni verso gli Stati Uniti e della prevista dismissione dei vecchi modelli Jaguar. L'azienda ha affermato che il significativo calo delle vendite è stato in parte causato dalla sospensione delle spedizioni verso gli Stati Uniti ad aprile, dopo che l'amministrazione del presidente Donald Trump ha introdotto nuovi piani tariffari.