Adelphi prosegue la pubblicazione delle opere del premio Nobel."I suoi eroi sono anime nude - dice Fiona Diwan nell'ultima puntata di 'Incipit', la rubrica di libri di Sky TG24 - Si attorcigliano, si dibattono, cercando una nuova identità e una nuova collocazione in un terra che non è la loro"
“Uno scrittore molto prolifico, con un modo quasi tentacolare di scrivere", per il quale
"la letteratura è innanzitutto memoria". Così la giornalista e saggista Fiona Diwan racconta a Sky TG24 Isaac Bashevis Singer, di cui ormai da diversi anni Adelphi, con Elisabetta Zevi, sta pubblicando i romanzi. L'ultimo arrivato in libreria si intitola "Ombre sullo Hudson", è tradotto da Valentina Parisi ed è ambientato in una New York che, per stessa ammissione di uno dei protagonisti, sembra Varsavia.
Non è la prima volta che accade: quella di Singer - spiega Diwan durante "Incipit", la rubrica di Sky TG24 dedicata ai libri - "è una New York su cui volano nuvole polacche. Una città vissuta dai suoi personaggi quasi con ostilità, e che per sembrare più familiare e più vicina trascolora in un ritratto simile alla terra di origine".
"L’universo geografico di cui racconta Singer - dice la direttrice dei media della comunità ebraica di Milano - è fatto di poco più di dieci strade che ruotano attorno a Broadway, Amsterdam Avenue, Lower East side", ed è intorno a questo stretto palcoscenico che il premio Nobel sperimenta con proverbiale maestria le passioni e le pulsioni che imprigionano l’uomo e dunque i conflitti che queste generano.
"Gli eroi di Singer sono anime nude"
“Più una persona è forte, più forti sono le sue debolezze", dice a un certo uno dei personaggi di "Ombre sullo Hudson", aggiungendo subito dopo che "è un principio di compensazione universale”.
"La forte personalità porta con sé anche forti pulsioni e dunque rischi di cadute altrettanto rovinose", chiosa Diwan, spiegando come "gli eroi di Singer siano anime nude: si attorcigliano, si dibattono, cercano una nuova identità e una nuova collocazione in un terra che non è la loro perché la loro è andata perduta, rasa al suolo dalla seconda guerra mondiale. È per questo - racconta ancora Diwan - che per Singer scrivere significa dare onore a un mondo che non c’è più, restituendolo nella sua complessità e dunque anche rievocando le sue magie, le sue superstizioni, i suoi demoni”.
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"L'Atlantide espressiva inabissata con la Shoah"
In questo legame, e in questa rievocazione, la lingua ha un ruolo determinante: "Singer - ricorda sempre Diwan - scrive in yiddish, la lingua madre, e non un caso che continuerà a scrivervi per tutta la vita nonostante la sua pluridecennale esperienza americana, sottoponendosi peraltro a un lungo e faticoso lavoro di autotraduzione in inglese pur di non consegnare quel compito a qualcun altro. Un tour de force immane che tuttavia gli consentirà di restituire al lettore un mondo yiddish altrimenti sconosciuto, e con questo un’Atlantide espressiva che si era ormai inabissata con la Shoah".