Minoranza di religione musulmana e di etnia turcofona, risiedono principalmente nella vasta regione dello Xinjiang, nel nord ovest del Paese. Le violazioni nei loro confronti si sono intensificate dal 2001, presentate come una campagna di lotta al terrorismo
Il 18 novembre 2019 il New York Times ha pubblicato più di 400 pagine di documenti riservati che descrivono il giro di vite della Cina contro le minoranze etniche musulmane nella regione di Xinjiang, in particolare gli uiguri, rinchiusi in campi di prigionia o nelle carceri. Tra le carte, per quella che è stata definita la più grande fuga di notizie da Pechino da decenni, anche discorsi del presidente Xi Jinping, che nel 2014 esortò a non avere “alcuna pietà" nei confronti di questo popolo. Atti intimidatori, violenze e detenzione illegale: sono queste le violazioni che i musulmani uiguri, che sono solo lo 0,6% della popolazione cinese, da tempo cercano di denunciare anche all’estero. Poche però sono le notizie che riescono a superare la censura del regime di Pechino, tanto che per far trapelare informazioni e raccontare la persecuzione etnica e religiosa in corso, si ricorre anche a escamotage fantasiosi, come nel caso di un’adolescente statunitense che su TikTok, social network di proprietà cinese, ha finto un tutorial di make up per parlare dei lager in Cina.
Chi sono gli uiguri
Gli uiguri sono una minoranza di religione musulmana e di etnia turcofona. Risiedono principalmente nella vasta regione dello Xinjiang, nel nord ovest della Cina. Oggi rappresentano la maggioranza relativa della popolazione della regione, il 46%, mentre il resto degli abitanti sono cinesi di etnia Han (39%) e kazaki. Dagli anni ’90, con la disgregazione dell’Unione Sovietica prima e poi con il crollo delle Torri Gemelle nel 2001, si è intensificata la repressione di Pechino, con il governo che ha presentato la campagna contro la minoranza uigura come una lotta al terrorismo.
Uno dei posti più sorvegliati al mondo
La regione dello Xinjiang è uno dei posti più sorvegliati al mondo: gli abitanti sono sottoposti a controlli di polizia quotidiani, a procedure di riconoscimento facciale e a intercettazioni telefoniche di massa. Secondo l’organizzazione Chinese Human Rights Defenders in questa regione si verifica il 20% degli arresti del Paese. Nel 2009 ci sono stati gli scontri più violenti tra gli uiguri e il governo cinese, scoppiati a seguito della morte di due uiguri per mano di abitanti di etnia Han. Una manifestazione a Ürümqi, organizzata in onore delle due vittime, è degenerata in una serie di conflitti etnici, che hanno coinvolto anche la polizia cinese, con un numero finale di circa 200 vittime, oltre che l'arresto di quasi 1500 persone, alcune poi condannate a morte.
Lager cinesi
Nel 2017 sono iniziate a trapelare notizie all’estero riguardo l’esistenza di campi definiti “di trasformazione attraverso l’educazione”, nei quali gli uiguri vengono rinchiusi indiscriminatamente. Secondo uno studio dell’istituto di ricerca di geopolitica Jamestown Foundation, i campi esistono dal 2014. Per gli analisti, al momento più di un milione di uiguri e altre persone appartenenti a minoranze etniche di religione musulmana si trovano all’interno di questi campi di prigionia. L’obiettivo finale dell’operazione, sostiene il New York Times, è la cancellazione dell’identità uigura.
I documenti rivelati dal New York Times
I documenti diffusi dal quotidiano statunitense nel 2019 rivelano che il presidente Xi Jinping nell'aprile del 2014, poche settimane dopo che alcuni militanti uiguri avevano accoltellato 150 persone, si disse a favore dell'uso degli "organi della dittatura" contro "il terrorismo, le infiltrazioni e il separatismo", senza mostrare alcuna pietà. I campi di reclusione - emerge dai documenti - sono aumentati dal 2016 con la nomina di Chen Quanguo a nuovo capo del partito per la regione di Xinjiang. Dai documenti trapela inoltre la volontà di Pechino di allargare le restrizioni all'Islam ad altre parti della Cina. Ma anche un manuale distribuito alle forze dell'ordine della regione di Xinjiang per spiegare agli studenti, in visita alle loro famiglie, perché i loro cari fossero spariti da casa. Già alla stazione, al rientro dal semestre scolastico, gli studenti venivano avvicinati e veniva spiegato loro che i genitori si trovavano in "scuole di addestramento" del governo e che quindi non potevano vederli. Nel caso di insistenza dei ragazzi, gli agenti erano autorizzati a minacciare velatamente i giovani, ai quali poteva essere detto che dal loro comportamento sarebbe dipesa la lunghezza della permanenza dei genitori nelle “scuole”.