Tsunami: cos'è, come si manifesta e quali sono le cause

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Un'immagine dello tsunami che travolse il Giappone nel 2011 (Foto Getty)

La parola ha origine giapponese ed è un altro termine per definire un maremoto. Consiste in una serie di onde, alte anche decine di metri, che si generano per l’improvviso spostamento di una grande massa d’acqua provocato di solito da un terremoto

Tsunami è una parola giapponese che significa letteralmente "onda di porto" ed è un altro termine utilizzato per definire un maremoto. Lo tsunami consiste in una serie di onde marine prodotte dal rapido spostamento di una grande massa d’acqua, solitamente a causa di un terremoto (che ad esempio innalza un fondale), di attività vulcanica, di frane o, molto più raramente, di impatti di meteoriti. Man mano che si avvicina alla costa, a causa della progressiva e rapida riduzione della profondità, cresce in altezza fino ad assumere l'aspetto e le dimensioni di un vero e proprio muro d'acqua che può arrivare a un’altezza di decine di metri. A differenziare le onde di uno tsunami dalle normali onde marine, create dal vento, è il fatto che quest' ultime muovono solo le masse d'acqua superficiali, senza coinvolgere i fondali. Uno tsunami ha un grande potenziale distruttivo e può radere al suolo navi, porti, edifici, e trascinare nel suo flusso d'acqua cose e persone.

Come si manifesta lo tsunami?

A volte lo tsunami si manifesta con un fenomeno di iniziale ritiro delle acque che lascia in secco i porti e le navi. In realtà questo ritiro non è altro che il “cavo” (il punto più basso) dell’onda e preannuncia quindi l’arrivo della successiva cresta e la conseguente inondazione. Lo tsunami che raggiunge la costa può apparire simile ad una marea che cresce molto rapidamente, sollevando il livello generale dell’acqua anche di diversi metri.

Quali sono le cause degli tsunami?

A causare i maremoti, di solito, sono forti terremoti sottomarini o quelli vicini alla costa ma non tutti sono in grado di generare tsunami. Perché si verifichi, spiega l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, occorre che il terremoto abbia una magnitudo molto elevata, un ipocentro non troppo profondo e che sia in grado di produrre uno spostamento verticale del fondo marino capace di mettere in moto la massa d’acqua sovrastante. Anche lo scivolamento di sedimenti nelle frane sottomarine, spesso attivate da terremoti, o la caduta in mare di grossi blocchi rocciosi o di sedimenti in caso di frane aeree, possono causare uno tsunami. I maremoti prodotti da frane possono essere molto distruttivi nelle coste vicine, ma generalmente non sono in grado di propagarsi per grandi distanze.

Può raggiungere i 700 km/h di velocità

La forza distruttiva di uno tsunami è data dall'altezza della colonna d'acqua sollevata, perciò un terremoto nell’oceano può essere molto pericoloso, perché può sollevare e spostare tutta l'acqua presente al di sopra del fondale (ad esempio di tre o quattromila metri), anche se solo di pochi centimetri. La forza di uno tsunami è data anche dalla lunghezza d'onda delle sue onde: rispetto alle normali onde marine, negli tsunami la lunghezza delle onde è molto maggiore e può superare anche i 200 km. Man mano che la profondità del mare diminuisce, anche la lunghezza diminuisce e l'altezza dello tsunami aumenta. Uno tsunami, inoltre, è in grado di viaggiare a una velocità elevatissima: dove l'oceano è molto profondo può arrivare a circa 700 chilometri l’ora, cioè quasi la velocità a cui viaggia un aereo.

Si può prevedere uno tsunami?

Con gli strumenti attuali è praticamente impossibile prevedere il verificarsi di uno tsunami, spiega la Protezione civile italiana. Per prevederlo occorrerebbe una misurazione diretta della variazione del livello marino subito dopo la rilevazione del terremoto, attraverso l'impiego di sistemi posizionati sul fondo marino e capaci di trasmettere in tempo reale i dati acquisiti, ma data la profondità raggiunta dagli oceani resta molto complicato. La miglior difesa contro gli tsunami resta infatti l’allerta preventiva alla popolazione che consente di cercare ripari sopraelevati. Un compito resto difficoltoso anche dall'elevata velocità di propagazione del maremoto sugli alti fondali e vista la necessità di disporre di almeno un'ora di preavviso.

Gli tsunami del 2004 in Thailandia e Indonesia e del 2011 in Giappone

Il 26 dicembre 2004, un sisma di magnitudo 9.1 a largo di Sumatra ha dato vita al più distruttivo tsunami del secolo, sia come effetti che come area interessata. Nessun altro maremoto del passato ha provocato tante vittime (oltre 280.000) e ha investito così tante aree del mondo. Le onde hanno colpito, oltre all’Indonesia, tutti gli Stati del Golfo del Bengala, causando danni anche in Somalia, Kenya, Tanzania, Madagascar, Mozambico, Mauritius, Sud Africa e Australia. Lo tsunami ha attraversato l’Oceano Atlantico e il Pacifico ed è stato anche rilevato in Nuova Zelanda, Antartide e lungo le coste dell’America del Sud e del Nord. Nel marzo 2011 è stata la volta del Giappone e zone limitrofe, devastati in seguito ad un terremoto di magnitudo 9 che ha generato uno tsunami con onde di oltre 10 metri. Le vittime sono state oltre 15mila e i dispersi oltre 4mila. Lo tsunami ha anche causato gravi danni alla centrale nucleare di Fukushima, con il danneggiamento dei sistemi di raffreddamento che ha causato un surriscaldamento incontrollato e la fusione delle barre di combustibile, per culminare con un'esplosione. I danneggiamenti hanno interessato tre reattori, due dei quali sono esplosi. L’evento ha causato il rilascio di una grande quantità di radiazioni e oltre 100mila persone sono state evacuate dalle aree circostanti.

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