IL LIBRO DELLA SETTIMANA Nella Francia dell’XI secolo un figlio di un rabbino e un’aristocratica cristiana scapparono braccati dalle rispettive famiglie riparando in Provenza prima di finire vittime del fanatismo religioso. Un romanzo ne rievoca la storia
Partiamo dai punti certi, che in questa storia sono davvero pochi. Nel 1096, a Monieux, un piccolo villaggio della Provenza francese, avviene un pogrom di rara violenza: trascinata dall’eco della prima crociata invocata dal papa Urbano II, una banda di avventurieri e di fanatici stermina “gli infedeli” al giro di “Deus lo volt!”. Tra le vittime c’è anche il figlio di un rispettato rabbino: si chiama David Todros e cinque anni prima è scappato da Rouen con Vigdis Adelais, una giovane aristocratica cristiana dai lunghi capelli biondi, con gli occhi azzurri leggermente strabici e il sangue dei normanni.
La fuga
Di questa storia si sa questo e poi poco, pochissimo altro. Non si conosce, per esempio, la sorte dei tre figli che David e Vigdis hanno e che quasi certamente sono fatti schiavi durante il pogrom. Sappiamo poi, o almeno possiamo intuire, che quella di David e Vigdis sia stata davvero una storia d’amore ostinata, una di quelle incredibilmente romantiche. L’inizio dovrebbe essere datato cinque (o forse sei) anni prima di quel progrom, quando i due scappano da Rouen, braccati dai cavalieri (assai vendicativi) del padre di lei. È una fuga passionale, spericolata e improvvisata, che fa capolino in Provenza e che a un certo punto, con l’arrivo dei tre figli, pare avvicinarsi a un lieto fine. Nell’Europa medioevale, però, lo spazio per gli spartiti romantici e melò è ridotto al lumicino. Dopo lo sterminio del 1096 Vigdis (che nel frattempo ha cambiato nome e per amore si è convertita all’ebraismo) resta vedova e si mette alla ricerca dei figli sottratti, iniziando così un lungo viaggio che la porterà certamente a Palermo, Alessandria d’Egitto e al Cairo.
Il viaggio
La storia di Vigdis resta per secoli pressoché consegnata all’oblio, fino a quando lo scrittore fiammingo Stefan Hertmans la scova quasi per caso mentre trascorre proprio a Monieux le sue vacanze estive. Decidendo così di imbastire un romanzo ibrido e avvincente, che ora Marsilio porta in Italia con il titolo di “La straniera” (trad. L. Pignatti, pp. 328, euro 18). Hertmans sta alla larga dal solito romanzo storico e dai suoi sentimentalismi; piuttosto, sorvegliato da una buona (e salvifica) dose di pudore, si mette sulle tracce di Vigdis, compulsa i pochi indizi documentari conservati e, quando ricorre alla fantasia, lo fa con un passo narrativo discreto e mai sopra le righe. Così, superato un inizio forse un po’ troppo aulico, squaderna una storia di forte impatto e di notevole tenuta, alleggerita anche dal racconto del viaggio che lui stesso compie lungo le rotte solcate dalla protagonista. E, alla fine, il sapore che resta è quello di un romanzo misurato e godibile.