L’inverno demografico in Polonia può indebolire la difesa Nato?

L’inverno demografico è arrivato e in Polonia è particolarmente rigido. Il tasso di fertilità del Paese si è fermato a 1,3 figli per donna, tra i più bassi d’Europa, con tutte le conseguenze economiche e sociali che questo comporta, dall’insostenibilità del welfare all’aumento del carico di cura sulle donne. Ma per alcuni osservatori la preoccupazione va oltre i confini nazionali. Arriva a toccare equilibri e disequilibri della politica internazionale, in un momento storico in cui le parole “difesa collettiva” e “Nato”- lasciate per un po’ a prendere polvere sul loro scaffale novecentesco - sono tornate a disposizione delle esigenze del presente. C’è chi sostiene, infatti, che in Polonia fare meno figli possa indebolire la capacità di deterrenza europea contro un’eventuale minaccia della Russia. “Senza misure coraggiose - sostiene l’economista polacco Piotr Arak in un articolo apperso su Euobserver - la popolazione in calo e sempre più anziana rischia di svuotare il potenziale militare del Paese e indebolire la capacità di deterrenza della Nato proprio sul suo fronte più esposto”. Il mito della Polonia come frontiera d’Europa ha radici antiche. È un attore strategico sulla scena internazionale da ben prima che l’Occidente atlantista si opponesse al blocco sovietico che faceva capo alla Russia. Oggi, con l’imperversare della guerra tra Russia e Ucraina, ma anche per via delle altre violenze esplose ai confini del Vecchio continente, si è tornati a riflettere sulla tenuta del Patto atlantico. E Varsavia è considerata un alleato-modello: ha le spese militari pari a quasi il 5% del Pil e un esercito in rapida modernizzazione. Come sottolinea Arak su Euobserver, però, la sua popolazione sta declinando rapidamente: nel 2024 è scesa a circa 36,6 milioni. La popolazione media è già di 42 anni e potrebbe salire a 52 entro il 2050, con il rischio che entro il 2060 il numero di abitanti scenda a 26,7 milioni e a soli 19 milioni entro il 2100. Questo potrebbe comportare, secondo l’analista, una riduzione del bacino di reclutamento militare e un conseguente indebolimento delle performance difensiva in ottica Nato. Ma quanto è concreto per i Paesi filo-atlantisti questo rischio? “Io osserverei prima di tutto una cosa: che l'inverno demografico interessi la Polonia è vero, ma interessa anche la Russia, e da questo punto di vista la situazione sembra equilibrarsi”, spiega Stefano Ruzza, professore di Scienza politica e direttore del programma "Violence and security" dell’istituto di ricerca T.wai presso l’Università di Torino. “Non parliamo più di un Paese [la Russia, ndr] di centinaia di milioni di abitanti: sono circa 150 milioni e la tendenza non cambia nel lungo periodo”. E comunque Varsavia, in un ipotetico scenario di tensioni, non sarebbe sola. “È vero che la Polonia può essere considerata un bastione di prima difesa, ma si possono integrare le forze polacche con altre forze provenienti da altri Paesi alleati. Quindi non si deve pensare al solo bacino di reclutamento polacco. Questo si vede già con i battlegroup che sono schierati nei paesi baltici, per esempio, che sono tutti multinazionali”. Un’altra risposta all’ipotesi che il declino demografico possa incidere sulla capacità di difesa militare è data poi dal fatto che sono cambiate le regole di ingaggio negli eserciti. E in questo senso l’Ucraina fa scuola: “Gli ucraini di oggi sono una popolazione molto più anziana rispetto a quella delle guerre del XX secolo. Per questo, quando si fanno i reclutamenti, le mobilitazioni militari o si istituiscono le classi di leva, non si selezionano più i diciottenni. Si parte da persone più anziane, più mature, e poi se le guerre si protraggono si scala verso le classi più giovani”. La ragione, sottolinea Ruzza, è che “l’età media si è allungata, il periodo che le persone passano all'interno dei cicli di istruzione si è allungato, la salute è migliore rispetto al passato. Quindi, si applica un modello diverso rispetto a quelli della prima e della seconda guerra mondiale. Un trentenne o un quarantenne è in salute, è fisicamente ancora capace, è anche più maturo, ha più competenze, è militarmente più utile”. E aggiunge che si tratta di riflessioni che sono diventate prioritarie anche per un Paese come l’Ucraina, impiegato in una guerra difensiva a tutto campo. “Zelensky e anche il suo governo sono stati molto resistenti. C'erano state alcune pressioni internazionali per allargare le classi di leve, ma sempre più giovani hanno cercato di tenere il punto, proprio perché in qualche modo si conserva un capitale umano che è utile in via generale ma anche in senso militare”. La Polonia del 2025, poi, non è quella di metà Novecento. Dalla sua ha una serie di risorse tecnologiche che rendono, se non obsoleto, comunque non determinante il volume demografico per un’eventuale difesa militare. “Nelle guerre contemporanee la massa è comunque importante, la guerra russo-ucraina l'ha dimostrato - spiega Ruzza - è impossibile, quindi, l'idea di fare guerre senza persone. È un po' una fiaba che ci siamo raccontati. Detto questo, però, l'evoluzione tecnologica ha contribuito a diminuire la richiesta di personale e sforzi militari anche sostenuti”. Dai droni all’informatizzazione della guerra, dalla meccanizzazione della logistica agli sviluppi di nuovi dispositivi militari all’avanguardia, la dimensione tecnologica gioca un ruolo come vettore per un nuovo modo di combattere. “Nel conflitto russo-ucraino si è visto che la Russia usa un sistema logistico ancora molto labour-intensive - dice il professore - L’Ucraina in qualche modo riuscita ad adeguarsi a degli standard della Nato che sono molto più capital-intensive: laddove i trasporti sono standardizzati, pallettizzati, i pezzi di artiglieria sono autocaricanti. Oggi serve effettivamente meno gente per fare la guerra”. Al di là delle valutazioni materiali, però, c'è da considerare che nelle democrazie contemporanee le scelte nazionali devono sempre passare il test dell'accettabilità politica. “Il vero problema di difesa secondo me, quando si parla di demografia, non è tanto materiale quanto politico - dice Ruzza - Una popolazione più anziana tendenzialmente chiede politiche diverse. È meno interessata alla spesa militare e preferisce appunto spesa per il welfare: Sanità, eccetera. C’è qualcuno che, per questo, parla di ‘geronto-pace’ o di ‘pax geriatrica’”. E mentre speriamo che Paesi più anziani possano, quanto meno, aspirare a società più pacifiche, il suggerimento di Ruzza è quello di osservare la questione non solo da un piano strettamente militare e con osservazioni matematica, ma anche da quello politico e sociale. "Quando si pensa alla difesa militare fattore demografico resta rilevante - dice - ma si deve stare attenti a non cadere nei classici errori malthusiani".

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Agnese Ranaldi