Perché il Donbass resta decisivo per le sorti della guerra Russia-Ucraina

È in Donbass che tutto si è complicato. Se la Russia nel 2014 prese la Crimea senza sparare un colpo, da quando poco dopo gli attivisti filorussi, aiutati dai primi nuclei del gruppo Wagner, assaltarono il parlamento di Donetsk, i caduti delle battaglie nelle due regioni che compongono il Donbass non si contano. Sono decine di migliaia, ma più verosimilmente centinaia di migliaia. Dopo combattimenti feroci, come quello dell'aeroporto di Donetsk, che dimostrarono l'inadeguatezza dell'esercito ucraino, nel 2014 finirono in mano russa, o filorussa, i capoluoghi Luhansk e Donetsk e le terre circostanti, che sono tra le più ricche di miniere e di industrie di tutto il Paese. Accanto al capoluogo, Donetsk appunto, per 8 anni è passata una linea del fronte fortificata, che praticamente non si è mossa nonostante le reciproche violazioni del cessate il fuoco proclamato con gli accordi di Minsk. Ma come sappiamo la questione, dal punto di vista di Mosca, non era ancora risolta. A partire dall’invasione su larga scala del febbraio 2022 sono state proprio le città del Donbass a subire gli assedi più duri. Dal 2022 ad oggi sono cadute, una dopo l’altra e al prezzo di migliaia e migliaia di morti e di milioni di profughi, prima Mariupol, poi Severodonetsk e Lysichansk, ancora Soledar e Bakhmut e infine Avdiivka. Tutte città distrutte dai bombardamenti e spopolate dalla fuga dei cittadini. Lo schema è sempre lo stesso. Gli ucraini resistono finché possono, cercando di infliggere il massimo di perdite al nemico e di evacuare i civili. Le città si svuotano, la gente scappa, e contraddice nei fatti quello che per Putin è tra i motivi principali della guerra: la difesa dei russofoni. Quando i russi arrivano a controllare una città non resta quasi più nessuno da difendere, se non qualche anziano che non si è voluto spostare e una piccola percentuale di russofoni filorussi che aspettano il ritorno nella madre patria russa. Dunque in ogni città o villaggio del Donbass conquistato dai russi, dopo la guerra, oltre alla ricostruzione, servirà ripopolare queste terre: e sarà l'ennesima ondata di russificazione in terra ucraina. È già successo più volte, dai tempi in cui serviva manodopera per le miniere a quando fu russificata la Crimea. Al momento nel Donetsk resta in mano ucraina una porzione di territorio di circa 6.000km, poco più grande della Liguria. Qui oltre ai soldati abitano ancora circa 252.000 civili, di cui 18 mila bambini. Da queste terre, che sono tra le più fortificate al mondo, secondo il primo piano Trump, approvato da Mosca, gli ucraini dovrebbero ritirarsi. E abbandonare città storiche della resistenza e della recente identità ucraina come Kramartorsk e Sloviansk, bombardata anche nelle ultime ore. Da parte della Russia c’è un’unica prospettiva: conquistare comunque, con le buone o con le cattive, tutta la regione di Donetsk, già annessa nel 2022 con un referendum insieme alle regioni di Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson. Lo scopo può essere raggiunto con la diplomazia, ed è una soluzione che il Cremlino ha sollecitato più volte, o con la forza, con mezzi militari, proseguendo la guerra. Per l’esercito russo non sarebbe un problema, anzi l'avanzata dell'esercito ha raddoppiato il proprio ritmo tra la prima e la seconda metà di quest'anno, passando dalla conquista di 5.5 km quatrati al giorno tra gennaio e luglio 2025 ai 9.3 km quatrati al giorno degli ultimi 4 mesi. Il passo è lento, ma costante e inesorabile. Per conquistare tutto il Donbass potrebbero volerci ancora due anni. E poco importa che per far questo ci possano essere altre migliaia di caduti. Oppure si può fare la pace. Una pace russa. Che comporta il ritiro ucraino. Tertium non datur.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Perché il Donbass resta decisivo per le sorti della guerra Russia-Ucraina

Jacopo Arbarello