Dal Medioriente al Sudan alla Cambogia: tutti i fronti aperti del 2026

Il 2025 è stato molte cose, ma di certo non un anno di pace. Anzi. È stato, insieme al 2024, un anno nel quale la guerra è tornata prepotentemente a popolare le cronache e a tentare di riscrivere gli equilibri tra popoli e stati. Guerre clamorose, spesso da prima pagina, come quella tra Ucraina e Russia, che si avvia al suo quarto anno; guerre che hanno spostato un po’ più in là l’asticella del politicamente accettabile e accettato, come quella tra Israele e Hamas o quella in Sudan. Ma anche guerre temute per anni e poi risoltesi in una manciata di giorni come quella tra Israele, USA e Iran. Oppure guerre che si trascinano da anni e che hanno avuto, di recente, un’imprevista fiammata, come quella tra India e Pakistan o come quella tra Ruanda e Congo, o tra Cambogia e Thailandia. Oppure ancora guerre che, in teoria, non esistono, ma vengono combattute e fanno vittime, come quella tra Pakistan e Afghanistan. Il 2026, che si aprirà nel segno dell’esercitazione cinese a largo di Taiwan, non sembra avere intenzione di essere da meno. L’ipotesi di un conflitto nel Pacifico, che scaturisca da un possibile attacco cinese a Taiwan e si estenda a Giappone, Filippine e persino Stati Uniti, è considerata ancora improbabile, ma sempre meno remota. Allo stesso tempo, ci sono almeno cinque conflitti la cui possibilità di esplodere appare molto più vicina e concreta. Il think tank Council of Foreign Relations ha pubblicato un report nel quale non solo si pone l’attenzione sui conflitti in corso, il cui esito, al momento, appare tutt’altro che prevedibile, ma anche su quelli che potrebbero iniziare nei prossimi mesi. In particolare, il report consiglia di osservare cinque possibili focolai di conflitto: il primo riguarda la Cisgiordania, dove da mesi la tensione si è fatta sempre più alta a motivo dell’impennata di esplicita violenza perpetrata dai coloni israeliani ai danni dei residenti palestinesi. Non sarebbe niente di nuovo, in teoria, dal momento che episodi simili, con soprusi, persone picchiate o uccise a giudizio insindacabile dei coloni e con il tacito assenso dell’esercito, proseguono da decenni. Ma a rendere diversa la situazione, quest’anno, è l’innestarsi, di questo tipo di violenze in Cisgiordania, su quelle nella Striscia di Gaza, e sulla volontà sempre più manifesta della destra israeliana, che sostiene l’esecutivo di Benjamin Netanyahu e che si prepara a una decisiva tornata di elezioni nei prossimi mesi, di porre fine all’esperimento di autonomia palestinese in Cisgiordania. La stessa Striscia di Gaza, dove per ora vigile un fragile e controverso cessate il fuoco, secondo CFR, potrebbe essere al centro di un nuovo conflitto. Questo perché nonostante il cessate il fuoco, il piano in 20 punti che prevedeva la creazione di un nuovo equilibrio tra gazawi e israeliani non è mai stato applicato. In pratica, dei venti punti proposti da Trump lo scorso ottobre, solo il primo è stato effettivamente rispettato: la restituzione degli ostaggi da parte di Hamas e la cessazione dei bombardamenti da parte di Israele. Poi, messi in cassaforte questi due risultati, l’applicazione del resto del piano è stato rimandata a data da destinarsi, creando una situazione di instabilità nella quale l’arrivo degli aiuti umanitari all’interno della Striscia prosegue a singhiozzo, una parte consistente dell’area è ancora stabilmente occupata dalle truppe israeliane, gli attacchi e le uccisioni non sono mai finiti e il disarmo di Hamas, così come la creazione di una forza di pace internazionale, sono rimasti sulla carta. Una situazione di disequilibrio e precarietà in cui, secondo gli esperti di CFR, potrebbe bastare un nonnulla per far tornare la Striscia al centro di una sanguinosa guerra, dando origine a un conflitto che potrebbe espandersi, più di quanto non abbia già fatto, all’intera regione. Oltre a questi ci sono almeno altri tre scenari che, secondo gli esperti, potrebbero coinvolgere direttamente l’Unione Europea o gli Stati Uniti. Il primo, per ovvie ragioni, riguarda la guerra in Ucraina, conflitto per il quale gli esperti di CFR considerano più probabile un intensificarsi delle operazioni, piuttosto che una fine prossima . Gli altri due, invece, riguardano direttamente gli Stati Uniti, che potrebbero, egualmente, trovarsi impantanati tanto in una guerra regionale con il Venezuela, Paese nei confronti della cui popolazione civile e delle cui navi petroliere sono già state intraprese operazioni militari, quanto in un conflitto interno che potrebbe avere, se non l’aspetto e la forma di una guerra civile quello di una ulteriore crescita di episodi di violenza politica e di terrorismo interno. Un quadro poco rasserenante, che però è stato scritto solo in ottica occidentale, escludendo le altre aree, lontane dagli interessi e dalle sensibilità di USA e UE, che però potrebbero originare nuove violenze ed emergenze umanitarie in tutto il pianeta. Il report di ACLED, che amplia il quadro, cita anche la possibile guerra civile in Ecuador, Paese che la costante presenza di gang ha trasformato in un costante teatro di guerriglia, l’Area del Sahel, al centro dell’Africa occidentale, e teatro di violenze Jihadiste e l’area del Corno D’Africa e del Mar Rosso, da tempo teatro di un azioni militari gemmate dalla guerra in Yemen e dalla violenza degli Houti.

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Luciana Grosso