Il 2026 sarà l’anno della giustizia verso le elezioni del ‘27

Come una lunga notte prima degli esami, il 2026 della politica italiana si consumerà senza elezioni di rilievo, in vista dell’anno della maturità: il 2027, che vedrà la fine della legislatura – molto probabilmente in primavera – e il big bang del voto per le Politiche. Senza elezioni, ma non senza scossoni. Questo è certo. Basta guardare al quadro internazionale, per capirlo. Alle tensioni tra le due sponde di un Atlantico mai così agitato che scuote a fondo le forze di governo e quelle di opposizione, spaccandole trasversalmente. Vedremo se Giorgia Meloni riuscirà nel tentativo di farsi “ponte” mentre la forza centrifuga aumenta. E vedremo cosa farà la Lega di Matteo Salvini, se continuerà a distinguersi solo a parole, votando ogni atto a sostegno dell’Ucraina o andrà oltre. Così come capiremo se il Campo largo, finora in Parlamento andato sempre in ordine sparso sulla politica estera, riuscirà a darsi un minimo di linea condivisa, per presentarsi come una credibile coalizione di governo agli elettori. Niente elezioni non vuol dire che non si voterà, nel 2026. Come sappiamo, a inizio primavera si disputerà la sfida dell’anno, nelle urne, con il referendum costituzionale sulla giustizia. Nessun quorum minimo perché sia valido: sarà lotta all’ultima scheda. La vittoria dei Sì rafforzerebbe il governo portando a compimento la prima vera grande riforma delle tre in agenda , segnando inoltre una sconfitta della magistratura organizzata e di quasi tutte le opposizioni . Scenario opposto, invece, in caso di vittoria dei No. Con la premier che – memore della lezione renziana – ha già messo le mani avanti, spiegando che comunque lei non ha alcuna intenzione di dimettersi. A proposito di referendum. A giugno, il due, saranno 80 anni da quello fondativo della nostra Repubblica. Affluenza quasi al 90%. Donne al voto per la prima volta, furono quasi un milione in più rispetto agli uomini: c’era ancora domani. Una Repubblica che potrebbe cambiare volto, se davvero fosse approvata la riforma del premierato, che a inizio anno la maggioranza vuole portare in aula alla Camera. Ma i tempi sono stretti. Dopo il primo via libera in Senato, a metà del 2024, si è andati a rilento. E mancano ancora tre passaggi parlamentari. Senza considerare il possibile referendum, inevitabile visti i numeri in Parlamento. Sembra scontato che l’iter non potrà concludersi in questa legislatura. Non a caso la partita aperta da tempo è quella della legge elettorale, che Fratelli d’Italia ha pubblicamente messo in cima all’agenda dopo la tornata delle Regionali d’autunno. Una legge ordinaria, in teoria più snella da portare a casa. Ma è la madre di tutte le leggi, per i partiti e le coalizioni. E dunque la madre di tutte le battaglie politiche. Un puzzle ancor più complesso del solito, questa volta, da comporre. FdI punta a un proporzionale con premio di maggioranza e indicazione del candidato premier. Sondaggi alla mano, il modo più sicuro per un bis a palazzo Chigi. E in subordine, per una vittoria del centrosinistra, ma senza possibilità di pareggio e quindi di larghe coalizioni. La Lega però non vuole rinunciare ai collegi uninominali che la premiano al Nord, mentre a Forza Italia non piace l’indicazione del presidente del consiglio sulla scheda. Per non parlare delle opposizioni, con ricette diverse ma tutte più o meno sulle barricate, al momento. Ecco, le opposizioni. Le ultime regionali hanno reso la formula del campo largo una costante, con ottimi risultati in alcuni casi, come in Campania e in Puglia. Una formula che appena chiuse le urne sembrava ormai irreversibile. Ma che nel giro di qualche settimana ha invece riproposto i grandi nodi di sempre: la leadership e un programma minimo. Mentre scriviamo non esiste nemmeno un modo condiviso per provare ad affrontarli, questi nodi. Il candidato premier si sceglierà con le primarie di coalizione oppure si opterà per la regola - che funziona nel centrodestra – del leader del partito più votato? Molto dipenderà anche dalla legge elettorale. Se dovesse cambiare, con l’indicazione del premier sulla scheda, le primarie saranno inevitabili. Quanto al lavoro sul programma, a sinistra ci si muove senza coordinarsi. Giuseppe Conte lo ha detto chiaro dal palco di Atreju: io non ho alleati, un’alleanza dipenderà dal programma e poi vedremo chi la guiderà. Quanto ai tempi, l’ex premier ha chiarito che fino alla prossima estate lavorerà alle proposte dei cinque stelle, poi si confronterà con gli altri. Senza fretta. Non ha problemi di programma né di leadership Giorgia Meloni, nonostante i periodici smarcamenti di Salvini e il crescente interventismo di Marina e Pier Silvio Berlusconi. Certo il protagonismo degli eredi del Cavaliere potrebbe aprire una fase nuova per il centrodestra, tutta da definire, ma non tale da mettere a rischio il governo, che inizia a vedere il traguardo del più longevo della storia. Ora è già il terzo per durata, dietro solo al Berlusconi II e IV. Ma a inizio settembre Giorgia supererà anche Silvio. E siamo all’autunno dell’ultimo anno intero di legislatura prima delle elezioni del 2027, che tutti danno per scontato saranno anticipate in primavera, rispetto alla scadenza naturale di fine settembre. Ci sarà da sfornare la legge di bilancio migliore per l’appuntamento. Anche per questo motivo, quella appena licenziata, a fine 2025, è stata così magra in termini di grandezza finanziaria. L’obiettivo è chiudere la procedura di infrazione europea per deficit eccessivo e avere così margini di spesa più ampi, a pochi mesi dal voto. A proposito di spesa, ad agosto scadrà formalmente il termine per l’esecuzione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. E incrociando le stime di ISTAT e Corte dei conti sarà proprio il PNRR a garantire quel poco di crescita del PIL, lo 0,8%, nel 2026. Così come negli ultimi anni ha evitato all’Italia, secondo molti analisti, di finire in recessione. Insomma, grazie ai fondi europei l’economia galleggia. Ma produzione industriale, costo dell’energia, produttività restano zavorre enormi, tutte da affrontare. E torniamo allo scenario internazionale. Alle sue ripercussioni sullo scenario politico italiano. Fare previsioni è più difficile del solito, da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca. Ma proprio negli Stati Uniti c’è una certezza, guardando al 2026: le elezioni di midterm del 3 novembre. Potrebbero ridimensionare la forza politica dell’attuale presidente, oppure rilanciarla. In ogni caso provocando contraccolpi in tutto il mondo, Italia compresa. E forse più che altrove. Quando saremo a sei mesi o giù di lì dalla fine della legislatura.

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Marco Di Fonzo