L’immigrazione secondo Trump: come ha preso forma la nuova stretta

Gli Stati Uniti hanno deciso di chiudere le porte all’immigrazione. E non solo a quella illegale, che già dal nome mostra il suo non essere mai stata consentita , ma anche a quella legale. Il divieto, per ora, riguarda solo le persone provenienti da 19 Paesi, ossia quelli che già dall’ordine esecutivo dello scorso giugno, erano stati oggetti del divieto di viaggio imposto dal Presidente: Afghanistan, Ciad, Repubblica del Congo, Guinea Equatoriale, Eritrea, Haiti, Iran, Libia, Myanmar, Somalia, Sudan e Yemen e da Burundi, Cuba, Laos, Sierra Leone, Togo, Turkmenistan e Venezuela. Un elenco di Paesi dai quali, secondo Trump, la migrazione potrebbe costituire una minaccia per la sicurezza interna, con buona pace del fatto che l’analisi pubblicata dall’Homeland Security indichi come principale minaccia alla sicurezza il terrorismo interno, più di quello di matrice islamica o jihadista. La decisione di questo ulteriore giro di vite sembra arrivare a seguito della sparatoria di pochi giorni fa a Washington, nella quale un rifugiato afghano, ex collaboratore dei servizi americani, ha fatto fuoco contro due agenti della guardia nazionale, uccidendone una. Questo esecrabile episodio, benché solo parzialmente legato al tema dell’immigrazione, ha dato il via libera all’amministrazione Trump per un’ulteriore stretta sull’immigrazione, tema sul quale Trump insiste molto fin dalla proposta del 2017 di costruire un muro al confine con il Messico e dall’emanazione del primo ‘muslim ban’ che aveva vietato l’ingresso negli USA a tutti i cittadini provenienti da Paesi islamici considerati nemici. E anche se a seguito della sparatoria di Washington le cose potrebbero farsi peggiori per chi intende recarsi negli USA, è in realtà dall’inizio del secondo mandato di Trump che per i non cittadini americani le cose si sono fatte difficili. Per capire perché occorre distinguere tra migrazione legale e illegale. La migrazione legale è possibile più o meno a chiunque dimostrasse di avere un fondato motivo per recarsi e stabilirsi negli USA: lavoro, studio, famiglia, richiesta di asilo. Fin dal suo arrivo Trump ha cercato di stringere i cordoni di queste forme di ingresso negli USA, per esempio imponendo una tassa di 100 mila dollari per le aziende sponsor di lavoratori stranieri, o per esempio ipotizzando di ridurre da da 125 mila a 7500 ingressi l’anno il numero delle richieste di asilo. Anche i controlli su chi ha una green card, ossia un permesso di residenza permanente, si sono fatti più capillari, alla ricerca di ragioni per annullare il permesso e espellere il proprietario e persino per i cittadini naturalizzati si prevede che le cose si possano complicare, dal momento che si ipotizza di chiedere loro di scegliere tra la cittadinanza di origine e quella acquisita negli USA. Ora, a questo dedalo di norme che negli ultimi mesi hanno reso più difficile vivere e lavorare negli USA, si potrebbe aggiungere un divieto completo per gli abitanti di 19 Paesi che l’amministrazione trumpiana considera pericolosi . Ma se le cose si stanno facendo sempre più difficili per chi, regolarmente, fa richiesta di visto, magari con un pezzo di famiglia ad aspettarlo già negli USA e a farsene garante, o con un lavoro pronto ad aspettarlo, le cose sono ovviamente più complesse per chi entra o si trova illegalmente negli Stati Uniti. Anche se non si hanno dati precisi circa la consistenza di questa fetta di popolazione, le stime ipotizzano che i clandestini negli USA potrebbero essere tra gli 11 e i 15 milioni, per lo più provenienti dal Messico. Il sistema di leggi americano tanto rigido su certe cose, quanto lasco su altre, fa sì che buona parte di questi abbia un lavoro regolare e riesca a condurre una vita perfettamente normale, specie nelle città santuario, ossia le città nelle quali non è previsto che per accedere ai servizi di qualunque tipo vengano richiesti documenti. A meno che, ovviamente, non vengano sorpresi a fare qualcosa di illegale o, dalla polizia anti-immigrazione ICE, a essere su suolo americano senza un visto. In tal caso, le cose, ovviamente, si complicano e sono previsti arresti ed espulsione. Su quest’ultimo aspetto della macro questione immigrazione, Trump ha deciso di fondare gran parte della sua azione amministrativa. Secondo il think tank Migration Policy “Al ritorno di Trump alla Casa Bianca nel gennaio 2025, c'erano 39.000 detenuti in custodia dell'ICE, un numero che è salito al record di 61.000 a fine agosto e potrebbe raggiungere i 107.000 entro gennaio 2026. Nessuna precedente amministrazione aveva mai trattenuto una media di oltre 50.200 persone al giorno in centri di detenzione per immigrati. A settembre, i detenuti trascorrevano in media 44 giorni in centri di detenzione per immigrati”. Non solo. Secondo Brennan Center “Il cosiddetto One Big Beautiful Act stanzierebbe oltre 170 miliardi di dollari in quattro anni per il controllo delle frontiere e delle frontiere interne, con l'obiettivo dichiarato di espellere 1 milione di immigrati ogni anno. Si tratta di una cifra superiore al budget annuale di tutte le forze dell'ordine locali e statali messe insieme in tutti gli Stati Uniti. Il disegno di legge aggiunge miliardi di dollari al controllo delle frontiere, ma l'aumento percentuale maggiore è destinato all'individuazione, all'arresto, alla detenzione e all'espulsione degli immigrati già residenti negli Stati Uniti, la maggior parte dei quali non ha commesso alcun reato”. Il che, per un Paese nato e prosperato proprio sull’immigrazione, è un paradosso non da poco.

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Luciana Grosso