Trump usa la crisi demografica per minare la democrazia?

“Viene detto agli uomini che l’insoddisfazione verso la loro vita, compresa quella dettata da fattori economici come la disoccupazione, ha delle responsabili: le donne. Per questo, se tornano a quell’ideale di mondo in cui erano loro ad avere controllo sulle famiglie, un ideale inconciliabile con la parità di genere, viene detto loro che ne trarranno beneficio”. Tornare alla famiglia tradizionale e fare più figli è l’imperativo rivolto dall’amministrazione Trump alle giovani coppie statunitensi. Per questo, negli Usa, c’è chi sostiene che l’inverno demografico sia un pretesto per avanzare un’agenda conservatrice che limita i diritti riproduttivi e le libertà delle donne. È di questo avviso Emily Martin, avvocata del National women’s law center di Pittsburgh, secondo cui l’obiettivo finale del governo Usa, in realtà, è ancora più ambizioso di quanto sembri: ridefinire il profilo della prima democrazia moderna al mondo caricandola di connotati che tendono all’autoritarismo. Di qui la domanda fondamentale: può un Paese, nel 2025, rispondere al problema demografico restringendo le libertà invece di ampliarle? La crisi demografica negli Stati Uniti La storia è uguale a quella di buona parte dei Paesi a sviluppo avanzato: una popolazione che invecchia, bassi tassi di fecondità, generazioni anziane che non vengono sostituite dai più giovani e tutta una serie di dilemmi economici, tipo: chi pagherà le pensioni? Ma negli Stati Uniti, secondo Martin, la questione è trattata in modo ideologico. “Viene trasmessa questa idea per cui ci serve davvero, come Paese, avere più donne a casa con i bambini. Donne bianche con bambini bianchi, s’intende”, dice a Sky Tg24 Insider. A riprova di questo, secondo lei, c’è la convinzione che “non si può separare questo impulso pronatalista dalle politiche anti-immigrazione”. E aggiunge: “Basti pensare a questo: se davvero sono così preoccupati di una popolazione che invecchia e del fatto che non ci sono abbastanza giovani, l’immigrazione regolamentata è una risposta ovvia. E, tra l’altro, è stato un incredibile vettore del successo economico e della leadership globale degli Stati Uniti - osserva - Ma prenderla in considerazione, per Trump, sarebbe davvero inaccettabile”. Le politiche del "fertilization president" Donald Trump, autoproclamatosi il “fertilization president”, ha promosso politiche familiari apparentemente contrastanti. La sua amministrazione ha presentato a metà ottobre un programma per aumentare i trattamenti di fecondazione in vitro, ad esempio. Una pratica costosa alla quale non tutti possono accedere. Allo stesso tempo, ha tagliato le gambe a quelle famiglie che avrebbero desiderato un figlio pur non avendo un patrimonio da spendere in trattamenti, andando a colpire il programma di assicurazione sanitaria per persone a basso reddito, Medicaid. Si tratta di un meccanismo di assistenza che copre più di 4 nascite su 10 negli Stati Uniti, ma, come sottolinea Cnn, dal One Big Beautiful Bill Act dei Repubblicani sono state introdotte delle modifiche burocratiche che, secondo il Congressional Budget Office, faranno perdere la copertura a milioni di persone idonee. Pronatalismo vs. tagli al welfare Non solo: questa misura riduce anche l’accessibilità al programma nazionale Head Start, che si occupa di fornire sussidi alimentari alle famiglie ogni mese. Nel 2023 quasi il 40% dei beneficiari erano bambini. “Noi, come National women’s law center, siamo incredibilmente preoccupate per gli attacchi a questi programmi legati ai bisogni essenziali - dice Martin - L'amministrazione ha previsto dei tagli terribili, rendendo più difficile per le famiglie accedervi”. Ma come si fa, allora, a fare figli senza le giuste condizioni economiche? Eppure le politiche di Trump sono incoraggiate anche da un vero e proprio movimento pronatalista, che vanta tra i suoi esponenti anche il vice-presidente JD Vance e l’ex senior advisor di Donald Trump e magnate della tecnologia Elon Musk, oltre ad essere supportato dalla Heritage Foundation, un think tank di estrema destra fortemente conservatore. Il paradosso si scioglie nel momento in cui si considera che l’obiettivo dei Repubblicani di Donald Trump è quello di riabilitare un ormai vetusto paradigma familiare che recuperi gli ideali tradizionalisti e chiami le donne - bianche e appartenenti ai ceti più abbienti - a stare a casa con quanti più bambini possibili. “Le politiche di Trump non si concentrano sul fatto di rendere più facile per le famiglie e per le donne scegliere di avere bambini - sostiene Martin - Le persone di questo movimento si concentrano su quello che possono fare per lasciare alle donne meno scelte fuori dalla maternità e dal matrimonio, come 50 anni fa”. Perché il pronatalismo di Trump incide sulla democrazia La famiglia diventa un progetto politico, più che sociale, con conseguenze sulla tenuta della democrazia liberale. “La spinta pronatalista è collegata agli attacchi alla democrazia che stiamo vedendo sotto questa amministrazione - spiega Martin - perché chi porta avanti questa visione della famiglia tradizionale è lo stesso che avanza istanze di autoritarismo, ispirandosi a un modello di leadership con l’uomo forte al centro. Tanto è vero che la metafora vede il Presidente Trump come il ‘padre del Paese’ che ha il controllo su tutti”. Per questo, aggiunge: “Penso che ci siano connessioni profonde tra queste idee retrograde sulle questioni di genere e l'impulso autoritario di questa amministrazione”. Ne è una prova, secondo Martin, il fatto che vi sia quella che definisce una “sette di ideologi” all'interno e all'esterno dell'amministrazione “che cerca davvero di sfidare il valore dell’uguaglianza di genere, nei posti di lavoro, a scuola e nella cultura”. Come reagisce la società statunitense? Anche se pensa che il governo Trump continuerà a restringere i diritti riproduttivi e a colpire le famiglie a basso reddito - oltre a sminuire il tema delle discriminazioni di genere e delle molestie - in fondo l’avvocata si dice ottimista sul fatto che il vento sta cambiando. “Il consenso di Donald Trump è quasi ai minimi storici: è un presidente profondamente impopolare - afferma - Abbiamo visto frequenti proteste di massa quest’anno contro di lui. Durante le elezioni di metà mandato dello scorso novembre i democratici hanno portato a casa un risultato straordinario. Quindi penso ci sia una forte reazione da parte della società, anche se questo non vuol dire necessariamente che l’amministrazione e i suoi alleati al Congresso si stiano indebolendo. Ma ho la speranza che si crei un movimento in grado di respingere questa deriva. Questo è il momento di combattere più forte”.

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Agnese Ranaldi